Articolo originale – di Matteo Albanese
Il 3 ottobre 2019, quando il Copenhagen si recava a Malmö per una partita potenzialmente decisiva del girone d’Europa League, la squadra di Ståle Solbakken – oggi commissario tecnico della Norvegia – dovette percorrere poco più di 40 km. Quella sera finì 1-1 all’Eleda Stadion: uno svedese [Markus Rosenberg] e un danese [Lasse Nielsen, difensore del Malmö che realizzò un’autorete] finirono sul tabellino. Oltre a Nielsen, perdipiù, nella rosa del Malmö c’erano due danesi – Christiansen e Knudsen – mentre gli “infiltrati” della controparte danese erano gli svedesi Johnsson, Bengtsson e Papagiannopoulos. Proprio Sotirios Papagiannopoulos, difensore di origini greche la cui infanzia è divisa quasi equamente tra calcio e basket, il 12 dicembre successivo – al ritorno giocato al Parken, Copenhagen – avrebbe realizzato l’autorete decisiva per la vittoria del Malmö.
Per il Malmö Fotbollförening, i 33 km di distanza con Copenhagen equivalevano alla più breve trasferta dell’anno: neppure le gare di campionato – l’Allsvenskan, laddove la città più vicina è Helsingborg a quasi 73 km di pullman – offrivano viaggi meno lunghi. Tra le due città, rispettivamente capoluogo della regione di Scania e capitale della Danimarca, c’è una rivalità molto sentita che abbraccia pure la gastronomia: lo street food forse più popolare da queste parti è il Toast Skagen, del pane di segale imburrato e sormontato da gamberetti e aneto. Una pietanza inventata da uno svedese [Tore Wretman, uno dei primi chef maschi svedesi, al termine della seconda guerra mondiale], ma che prende il nome da un porto danese dello Jutland settentrionale, la città di Skagen, nota prettamente per la pittura e per una chiesa completamente sepolta dalla sabbia. C’è poi la questione del ponte di Öresund – in svedese, mentre in danese è Øresund –, quindi quei 16 km tra tratto stradale e ferroviario che unisce e separa allo stesso tempo due città apparentemente litigiosissime.
Se è molto comune per gli svedesi di Malmö recarsi in Danimarca per lavoro, quindi per forza di cose muoversi sul ponte inaugurato il 1° luglio 2000 con l’obiettivo dichiarato di durare cent’anni, non è neppure raro sentir parlare lo svedese a Kastrup, l’aeroporto di Copenhagen. Dietro le quinte c’è però una situazione di maggior complessità, tant’è vero che nella scelta del nome ufficiale del ponte s’è optato per un compromesso tra lo svedese Öresundsbron e il danese Øresundsbroen: il risultato finale è Øresundsbron, con l’aptang [Ø] danese ma “bron” anziché “broen”, un compromesso che si traduce – nella realtà dei fatti – a un sostanziale disuso a favore delle due versioni “locali” del termine.
La rivalità trascende, per quanto possibile, anche l’architettura: il 27 agosto 2005, su un progetto di Calatrava, la città di Malmö inaugurava il maestoso Turning Torso, un grattacielo in stile post-moderno di 190 metri nella zona ovest della città. Trovandosi nei pressi del ponte di Öresund, sono partiti degli sfottò più o meno sottaciuti che lo avrebbero voluto “l’edificio più alto del luogo”, dai cui due ultimi piani peraltro si vedrebbe bene Copenhagen. Da allora i danesi hanno più volte cercato di far approvare la creazione di un grattacielo più alto, finora senza successo. In occasione dell’ultimo tentativo – nel maggio 2019, si parlava di una torre di 280 metri – era intervenuta a gamba tesa Karin Vestergård Madsen, la delegata ad ambiente e cultura del Municipio: «Copenhagen non è New York, approveremmo volentieri un edificio così alto se avesse un senso, ma c’è motivo di approvare un palazzo di questo tipo giusto per la voglia di averne uno così alto». E così il primato, al momento, resta in mano svedese.
Il punto è che – se oggi l’allenatore del Malmö FF è un danese che risponde al nome di Jon Dahl Tomasson – ai tempi delle due sopracitate sfide tra Malmö e Copenhagen, sulla panchina svedese sedeva un tedesco, Uwe Rösler da Altenburg, che dopo una carriera di discreto successo aveva appeso gli scarpini al chiodo a Lillestrøm, in Norvegia, nel 2003, e lì aveva iniziato ad allenare. Tomasson è il terzo danese ad aver allenato il Malmö FF – il primo fu Viggo Jensen tra ’92 e ’93, ex centrocampista tra le altre di Bayern Monaco – e non è il primo danese ad avervi vinto un campionato: c’era riuscito prima di lui Allan Hjortdal Kuhn nel 2016, dopo aver preso il posto di un norvegese [Åge Hareide] che aveva accettato la corte della Federcalcio danese, in cerca di commissario tecnico. Kuhn vinse il campionato svedese nel 2016 ma fu esonerato, quindi sostituito da Magnus Pehrsson che nel 2017 portò i biancazzurri allo storico ventesimo titolo nazionale, il che volle dire la seconda stella sullo stemma. Dopo Pehrsson c’è stato il sopracitato Rösler, quindi Tomasson, seguendo una vena di esterofilia che ha vissuto il suo apice negli anni Settanta, con gli inglesi.
L’idea che un tecnico straniero potesse importare un calcio avanguardistico portò nel 1974 in Svezia Bob Houghton, quindi Keith Blunt nel 1980, seguito dal tecnico forse più amato di tutti: Roy Hodgson, nei cui cinque anni di gestione – dall’aprile 1985 al novembre 1989 – il Malmö FF vinse altrettanti campionati di fila e a cui oggi è dedicato l’angolo a nord-est dell’Eleda Stadion. Si chiama Roys hörna, “l’angolo di Roy”, e il nome è emblematico perché è lo stesso di Roy Andersson, padre di Daniel Jerry e Patrik Jonas Andersson. Nel 2007, alla costruzione dello Stadion, Daniel Jerry era il capitano del Malmö FF, mentre Patrik – ambasciatore della finale d’Europa League ospitata da Stoccolma nel 2017 – un nome noto del calcio svedese, avendo militato anche in Borussia Mönchengladbach, Bayern Monaco e Barcellona.
Jon Dahl Tomasson, che è nato proprio a Copenhagen ma oggi allena a Malmö, è la sintesi perfetta di quel profilo che mancava, in Scania, dai tempi di Åge Hareide. Di Hareide, Tomasson è stato assistente tra 2016 e 2020, alle dipendenze della Nazionale danese ma non fino all’Europeo, quando è stata rispettata la scadenza del contratto di Hareide [2020] ma lo slittamento di un anno della kermesse a causa della pandemia da Covid-19 ha lasciato vacante un posto poi preso da Kasper Hjulmand, che ha condotto la sua Nazionale fino alla semifinale persa contro l’Inghilterra. Ma nel gennaio 2020 Tomasson era già a Malmö, dove alcuni tifosi – proprio a causa della rivalità sopracitata – faticavano a concepire un danese in panchina. Si era persino fatto un paragone con Robin Patrick Olsen, l’ex portiere della Roma, nato a Malmö da genitori danesi, in possesso dunque del doppio passaporto, cresciuto nel Malmö FF ma realmente sbocciato nel biennio – dal 2016 al 2018 – a Copenhagen.
Ora, il Malmö FF non si qualificava alla fase a gironi di Champions League dal 2015/2016 e non vinceva il campionato svedese dal 2017 [quello con Pehrsson in panchina]. C’è voluto un danese, Tomasson, per invertire la rotta e portare gli svedesi in Champions League – dopo aver superato i tre turni preliminari contro Riga, HJK Helsinki, Rangers e Ludogorets ai playoff – dove l’attuale loro tecnico ha giocato 42 volte tra 1997 e 2005, sommando le presenze con Newcastle, Feyenoord e Milan. La sua ultima partita coi colori rossoneri è stata la finale del 2005 persa ai rigori contro il Liverpool, il suo ritorno in Champions è stato bagnato da una nuova italiana, la Juventus il 14 settembre scorso [0-3].
Lo stesso Tomasson, il 22 giugno 2004, all’Europeo poi vinto dalla Grecia, segnò una doppietta in Danimarca-Svezia 2-2, la celebre partita bollata come “biscotto”. Dopo il secondo gol, fu immortalato intento a zittire i tifosi svedesi e anche nel post-partita non le mandò a dire. Come scrisse Thomas Enger su Nettavisen nell’occasione, «Tomasson guadagna quotidianamente il suo stipendio dal Milan e ha fatto di tutto per spedire la Svezia fuori dal Campionato europeo. «Mi dispiace per gli italiani, penso che le migliori del girone siano state Danimarca e Italia» ha detto, non commentando neppure l’ipotesi che la partita fosse stata truccata: «Guardando tutta la gara, ambo le squadre hanno cercato di vincere». Polemica chiusa, dissapori forse no. Ma è bastato apprendere dai migliori – in un’intervista a inizio anno a Goal.com aveva citato come sue fonti d’ispirazione Ancelotti, Pellegrini, Beenhakker, Morten Olsen e Bert van Marwijk – e far bene a Malmö, probabilmente, per alleviare la tensione lungo quei poco più di 30 km che separano la città in cui è nato, Copenhagen, da quella in cui lavora [e vince].