L’idolo colorado ha annunciato che lascerà l’Internacional di Porto Alegre alla fine dell’anno.
di Douglas Ceconello – Globo Esporte (24/11/2020)
Traduzione di Alessandro Bai
Fare parte della storia è un concetto vago, applicabile a molti. Io, per esempio, faccio parte della storia del mio condominio, perlomeno in ambito amministrativo. Riuscire però a far coincidere la propria vita con quella degli altri, confondendosi con le narrative collettive e individuali, è tutt’altra cosa, che solo pochi sono in grado di fare. Ebbene, negli ultimi dieci anni D’Alessandro e i tifosi dell’Internacional [i colorados, N.d.T] hanno praticamente vissuto la stessa storia. Un cammino glorioso, zoppo, intimo e straziante, come quelli che vale la pena percorrere – tutto il resto è una sorta di scala mobile.
L’importanza di D’Alessandro per i colorados non ha a che vedere con i trofei conquistati. È un qualcosa di viscerale, come se fosse riuscito a dar voce, dentro al campo, alla follia e all’irresponsabilità, proprio nell’esatto momento in cui l’intera tifoseria sembrava averne bisogno. Fin dall’inizio, inoltre, la sua esperienza è stata vincolata a continue montonate [movimento brusco e istintivo del cavallo, compiuto sollevando le zampe anteriori, N.d.T] rumorose e rabbiose, come quel tiro che portò al suo primo gol contro il Grêmio. La nostra vita, si sa, dipende da ciò che riusciamo a fare con quella palla respinta che ricade al limite dell’area.
D’Alessandro è riuscito a portare dentro al campo i miei desideri giovanili indolenti e rivoltosi, e i sogni sparsi sotto un cielo blu, come le maglie del Gremio, che notte dopo notte mi portavano a immaginare sempre quella frustata dal limite dell’area, diventata finalmente realtà nel 2008, un momento del quale ho potuto rendermi conto poiché ero abbastanza vecchio per poterlo fare. Per questo D’Alessandro è l’idolo tardivo di una gioventù allungata proprio perché inevitabilmente legata alla vita colorada, fatta di momenti dolci e amari.
Se la figura di Fernandão [giocatore dell’Internacional di Porto Alegre morto nel 2014 in seguito a un incidente in elicottero, N.d.T] ha finito per assumere contorni incalcolabili, forse avevamo bisogno di qualcuno fin troppo terreno. E a proposito di terreno, D’Alessandro conosce a memoria ogni centimetro di quello del Beira-Rio. Del vecchio e del nuovo Beira-Rio. Ma soprattutto, quell’uomo dal mancino delizioso è stato espulso esattamente nel modo in cui ho sempre sognato di essere espulso, ovvero soltanto per colpa del troppo amore.
Anche quando faceva tutto al contrario, e forse proprio per questo, D’Alessandro era un genio. Un anno dopo aver scatenato un combattimento tra galli nella finale di Copa do Brasil 2009 contro il Corinthians, piccolissimo dettaglio, correva saltando i tabelloni elettronici dietro la porta e sollevando la Copa Libertadores. Perdere il controllo, dopotutto, è un’arte che soltanto i maestri del campo sanno maneggiare: solo chi sa dove è diretto può fermarsi a puntare e sbattere piedi.
E proprio la gestione degli avvenimenti dentro al campo è diventata, col tempo, un altro emblema della lunga esperienza di Don Andrés nella capitale gaúcha. Badate bene, non sono i titoli a dover essere protagonisti. Perché qui a Porto Alegre non c’è miglior modo di distinguersi che trasformarsi nello spettro che domina e aleggia sopra il Gre-Nal [il derby tra Grêmio e Internacional, N.d.T]. E io so esattamente cosa si prova: ho ancora incubi abitati da Paulo Egídio e avrei voluto correre con in mano una mazza chiodata dietro a Danrlei [due ex giocatori del Grêmio particolarmente temuti dai rivali, N.d.T.], prima di riuscire a raggiungere la redenzione, in lacrime, grazie a Fabiano [uno dei giocatori più decisivi per l’Inter nei derby disputati negli Anni 90, N.d.T], aggrappandomi idealmente alle sue spalle durante le sue fughe sulla fascia destra.
Durante anni indimenticabili, deliranti e irripetibili, l’hombrecito nato a La Paternal si metteva pallone e storia sotto al braccio e convocava tutti, tifosi, arbitri, avversari e venditori ambulanti per dire all’incirca questo, almeno da ciò che capivo io: «Questa sera le cose andranno in questo modo, perché è così che voglio. E all’inizio della notte, i colorados andranno a casa felici, così come me. Domani sarà un altro giorno come tutti gli altri, soleggiato o nuvoloso, in quel di Porto Alegre. Così è, così sarà».
Nel corso degli ultimi lunghi anni D’Alessandro è diventato il termometro del Beira-Rio, e il modo in cui ha deciso di salutare riflette esattamente come si sentono oggi i colorados: l’Internacional è a pezzi, devastato. Mettiamo però un asterisco per il futuro, perché esiste qualcosa di più grande che si erge all’orizzonte. Si dà il caso che i colorados di questa generazione siano dei privilegiati: per pochissimo, Fernandão non ha incontrato D’Alessandro in campo. Uno ha rappresentato i desideri più eterei della torcida, a partire dall’aereo di rientro dal Giappone [dove l’Internacional vinse il Mondiale per Club nel 2006, N.d.T] fino a tutto il resto, mentre l’altro era la vera e propria incarnazione della tifoseria che si sfogava dentro al campo.
Si ringraziano Douglas Ceconello e Globo Esporte per la disponibilità.