di Vadim Korablev, Sports.ru, 29/03/2021
(https://www.sports.ru/tribuna/blogs/bluewhitenavy/2903521.html)
Traduzione di Andrea Passannante
“Dopo aver visto una puntata del blog KraSava, due ragazzi di San Pietroburgo hanno creato un’accademia di calcio dedicata a persone con la sindrome di Down. Il loro obiettivo: rendere tutti più consapevoli su questo tema”
Nell’estate del 2020, a San Pietroburgo, è diventata operativa l’accademia calcistica 47 v igre [47 in gioco, N.d.T] dedicata a persone con la sindrome di Down. La cifra 47 si riferisce al numero di cromosomi dei neonati con questa sindrome. A creare questa accademia sono stati due amici che, nella loro cerchia personale, non si sono mai imbattuti direttamente nella sindrome di Down. Si tratta dei freelancer Jura e Paša. Abbiamo trascorso una giornata con loro per capire perché due ragazzi di 30 anni dedicano parte della loro vita a persone che non è semplice allenare. Ma per le quali il calcio è, senza esagerazione, la cura più importante.
I fondatori non vogliono che si provi pietà nei confronti dei bambini. Agli allenamenti tutto è affrontato con serietà: dal lavoro col pallone alla lavagnetta tattica, passando per il sistema Goal Station
«Questo tema non interessa a nessuno. Perfino i nostri amici e i nostri conoscenti non capiscono la nostra scelta. Si meravigliano: a cosa serve tutto ciò, non si guadagnano soldi» dice Paša, cofondatore di 47 v Igre. Ci incontriamo al golf club Peterhof, che si trova in una zona storica di San Pietroburgo, sulle rive del fiume Fontanka, 20 minuti a piedi dal Teatro Mariinskij.
Ci diamo appuntamento al golf club non per caso: lì, dalle 12 alle 14, si allena Vanja, un ragazzo di 30 anni che è il miglior calciatore dell’accademia di Paša e Jura. Vanja è nato con la sindrome di Down, ma questo non gli impedisce di provare il simulatore di golf, allenarsi a calcio tre volte alla settimana, andare a nuoto, prendere parte al circolo teatrale e partecipare a lezioni di inglese. Vanja ha anche un lavoro: nei giorni feriali si alza alle 4.20, parte da Gorelovo [praticamente in periferia, N.d.A] per raggiungere la stazione della metropolitana Narvskaja [praticamente in centro, N.d.A] e aiutare la mamma con le pulizie in una scuola.
Paša ha 31 anni, Jura 29. Entrambi mi danno del “Lei”, nonostante io abbia 25 anni. Paša ha la barba ed è vestito in modo sportivo. Jura ha i baffi, indossa un maglione e dei pantaloni casual. Quando erano bambini, giocavano insieme a calcio: si sono conosciuti così.
L’idea dell’accademia è nata nell’estate del 2020. Allora, Paša ha visto una puntata di KraSava [blog condotto da Žeka Savin che tratta tematiche legate al calcio, N.d.T] sui bambini con disabilità particolari e ha deciso che avrebbe voluto aiutarli a San Pietroburgo. Ha chiamato Jura e, insieme, hanno deciso di riflettere sul da farsi. «Abbiamo realizzato che in città non c’era nulla di simile» spiega Jura. «Solo in pochi trattavano la questione. Ci siamo rivolti al Down Zentr, un’associazione che riunisce le famiglie che hanno bambini affetti dalla sindrome di Down. L’organizzazione è stata creata direttamente dai genitori. Loro ci hanno aiutato molto quando abbiamo avviato il progetto. Organizzano anche attività sportive ed eventi per il tempo libero. I bambini si dedicano alla ginnastica, al nuoto, al calcio, ecc. Con Paša siamo andati a vedere i loro allenamenti di calcio e abbiamo notato che si praticava molto poco. Il minimo indispensabile.
Così è nata l’idea di una scuola interamente dedicata al calcio, con allenamenti appositamente preparati e anche con obiettivi sportivi. L’anno scorso la squadra di bambini con la sindrome di Down, proveniente da San Pietroburgo, ha raggiunto l’ottavo posto nella competizione nazionale. «Vogliamo diventare primi almeno in Russia» dice Jura. «Pochi sono scrupolosi come noi negli allenamenti. A ottobre si terranno in Italia i Trisome Games [l’equivalente delle Olimpiadi per le persone con la sindrome di Down, N.d.R]. Ci saranno diverse discipline e uno dei nostri obiettivi è andarci con una squadra della Russia».
Paša e Jura hanno intenzione di diventare un’accademia professionistica, pertanto non fanno sconti [durante gli allenamenti, N.d.T]: prima della partitella c’è il riscaldamento e il lavoro col pallone. Ci sono sessioni di tattica con la lavagnetta, i portieri hanno il supporto del sistema Goal Station, un’attrezzatura danese che utilizzano anche i club di alto livello. Probabilmente avrete già visto il principio che sta alla base del suo funzionamento: a seconda dell’esercizio proposto, ci sono alcuni sensori che si accendono con diverse combinazioni. Bisogna reagire a questi sensori, in maniera tale da sviluppare reattività, coordinazione e velocità.
Ai due allenamenti settimanali partecipano costantemente circa 20 persone, c’è poi una sessione aggiuntiva per i più preparati. Paša e Jura sottolineano che non lavorano solo con i bambini: l’età media del gruppo è tra i 15 e i 20 anni. Il più “anziano” è Vanja, il più giovane ha dieci anni. Paša è il capo allenatore, Jura si occupa del rapporto coi media e coi partner, anche se aiuta pure sul campo. Anche Aleksandr Danilov, padre di una delle ragazze, Andrej Il’in, rappresentante della Goal Station, e Denis Paršenkov, sostenitore del progetto, aiutano regolarmente nel lavoro.
«I ragazzi si applicano molto. – afferma Jura – Quando ci spiegano qualcosa, noi abbiamo un sacco di pensieri per la testa e pensiamo a come sembriamo agli occhi degli altri, ci vengono in mente altri avvenimenti. Con i nostri ragazzi, in questo senso, è tutto più semplice. Ad esempio, per Vanja si tratta del secondo allenamento di golf in assoluto e ha già imparato ad affrontare correttamente le buche. Gioca come un vero golfista. Gli dicono: tieni la schiena dritta, la testa giù e le braccia dritte. E lui lo fa».
«Fanno tutto secondo le indicazioni. – fa notare Paša – Inoltre, ricordano tutto molto bene. L’unica necessità: devono perfezionare a lungo gli esercizi. Se lavoriamo su un esercizio nel corso di tre settimane, iniziano a fare tutto in modo automatico. È più complicato con i ragazzi che non parlano proprio, ma anche loro fanno progressi. Se paragoniamo la situazione iniziale con quella attuale, sono due mondi diversi. Ai primi allenamenti era difficile: c’era chi urlava, chi sbraitava dicendo parolacce, chi semplicemente se ne stava seduto in porta e sputava. Psicologicamente è pesante, ma proviamo a prendere la situazione con umorismo. Se qualcuno si sdraia in campo, ci sdraiamo con lui. Poi ci abbracciamo e stiamo sdraiati insieme. Gli dici: «Che facciamo, andiamo?» e insieme riprendiamo gli allenamenti».
Paša e Jura sono sicuri che non serva arrabbiarsi e urlare. Degli errori bisogna parlare direttamente con la persona coinvolta, altrimenti non ci sarà una crescita. Ancora più importante è ricordare che i ragazzi non riescono a svolgere diverse funzioni contemporaneamente. «Non ha molto senso imparare tutto da zero. – racconta Jura – Ognuno deve avere il suo compito: c’è chi recupera il pallone, chi tira in porta, chi passa la palla. Tutti devono affinare le proprie qualità migliori. Se il tuo compito è effettuare un passaggio preciso e lo effettui, riceverai un complimento. Al contrario, in passato, tutti i ragazzi avevano solo un obiettivo: segnare un gol. Se non segnavano, se ne andavano piangendo dai genitori o si risentivano. Spieghiamo loro che il calcio non è fatto soltanto di gol».
Per gli allenamenti utilizzano una sala per il calcio a cinque e il campo ha un manto erboso artificiale. Stando alle parole di Paša e Jura, l’affitto del campo, l’acquisto dei palloni, lo stipendio degli allenatori e altre spese sono coperti da una persona che non vuole farsi pubblicità. Trovare questa persona non è stato semplice. «Nessuno vuole impegnarsi in questo settore. Abbiamo anche incontrato persone influenti, ma ci hanno detto subito che questo deve essere un business sociale. In altre parole: ciascun genitore che può pagare, deve pagare. Se non può, pagheremo noi. Ma questo sistema non ci andava bene».
Dal momento che l’accademia non è ancora formata dal punto di vista giuridico, i fondatori pensano a come si strutturerà. Di sicuro non vogliono contatti con lo Stato. «Le strutture statali si sono rivolte a noi, ma per il momento vogliamo presentarci come realtà privata. – dice Jura – Lo Stato è sempre un mix di protocolli, bilanci, un mucchio di scartoffie e censura. Spesso l’intera componente visiva delle strutture statali evoca una sensazione di tristezza o pietà. Soprattutto in riferimento a temi che riguardano i bambini invalidi o le persone con particolari disabilità. Noi vogliamo apparire moderni, semplici e, quando possibile, prenderla alla leggera. Vogliamo generare emozioni diverse: entusiasmo per i risultati sportivi, orgoglio per i ragazzi, sorrisi».
In verità, senza un contatto con lo Stato è impossibile farcela. Oggi 47 v igre prende parte al concorso della Rossijskij Futbol’nyj Sojuz [Federazione Calcistica Russa, N.d.T] per la nomina di «Miglior progetto regionale per lo sviluppo di massa del calcio tra le persone con limitate capacità di salute». Il sostegno economico è di 150.000 rubli [circa 1620 euro, N.d.T], una somma sufficiente per pagare l’affitto e gli stipendi per un paio di mesi.
Vanja ha giocato nel campionato cittadino: all’inizio gli organizzatori erano contrari, ma poi hanno dato l’ok. I fondatori dell’accademia hanno chiesto agli avversari di non lasciarsi andare troppo facilmente contro di lui
Il nome 47 v igre è stato adottato anche per la squadra che Paša e Jura hanno iscritto alla Sporting-Liga – il massimo torneo amatoriale di San Pietroburgo. Nell’ultimo incontro della scorsa stagione, si è verificato un grande evento: per la squadra 47 v igre ha debuttato una persona con la sindrome di Down. Si trattava proprio di Vanja. È entrato nel secondo tempo per 15 minuti e non si è perso, anche se sarebbe stato facile. «È successo nell’ultima partita, per un segno del destino. – dice Paša – Contro una squadra forte, che corre molto. Non solo giocano bene, ma sono anche tutti in salute. Eppure Vanja è entrato sicuro di sé, non ha avuto alcuna paura».
I ragazzi [Paša e Jura, N.d.T] erano chiaramente più preoccupati di Vanja. All’inizio, quando hanno avvertito gli organizzatori della competizione del fatto che volevano iscrivere un calciatore con la sindrome di Down, gli organizzatori si sono opposti. Ma poi, il giorno stesso, hanno cambiato idea e hanno promesso ampio supporto dal punto di vista mediatico. Prima del match, Paša e Jura hanno provato a mettersi in contatto con gli avversari, ma non hanno trovato i numeri di telefono necessari. Hanno parlato con la squadra avversaria solamente il giorno della partita. Hanno chiesto loro di non giocare duro, ma anche di non lasciarsi superare apposta. E sono stati ascoltati: gli avversari non sono stati scorretti, ma, quando possibile, hanno rubato la palla a Vanja abilmente e senza esitazioni. Tutto è andato via liscio. Dopo la partita, i profili social di Paša e Jura pullulavano di complimenti e offerte d’aiuto.
Nonostante ciò, l’approccio di Paša e Jura causa talvolta incomprensioni tra i genitori dei ragazzi dell’accademia.
Ecco una di queste situazioni, raccontata da Jura: «Per Capodanno abbiamo organizzato una festa per i ragazzi, abbiamo ordinato delle figurine personali di Fifa [sul modello Ultimate Team, N.d.T], nelle quali ognuno aveva rating 99. Inoltre, a quei genitori che ci hanno aiutato nel corso dell’anno, abbiamo regalato dei piccoli gadget. Volevamo premiarli, ringraziarli e ribadire la nostra gratitudine per la loro benevolenza e il loro supporto. Delle 20 famiglie, ne abbiamo premiate sei e dopo la premiazione una mamma ci ha chiesto perché non avessimo regalato anche a lei e alla sua famiglia i gadget. È stata una situazione scomoda.
In seguito, alcune persone che lavorano da tanto tempo con queste famiglie ci hanno spiegato che spesso in occasione di feste o premiazioni tutti ricevono un regalo, indipendentemente dai risultati. Se si diffonde l’abitudine di ricevere premi e benefici, si può manifestare questo problema. Noi comprendiamo queste dinamiche, ma manterremo la nostra linea. Quando parliamo di inclusione, vogliamo celebrare coloro che si distinguono per il supporto dato. Esattamente come accade nella vita di tutte le altre persone. C’è il primo, il secondo e il terzo posto. Il quarto posto e quelli seguenti rimangono giù dal podio».
Presto, ai fondatori dell’accademia toccherà affrontare un altro tema importante con i genitori: bisogna definire il futuro di Vanja. Attualmente, il ragazzo aiuta già agli allenamenti, ma loro vorrebbero che diventasse allenatore-giocatore, con tanto di presentazione ufficiale, firma del contratto, fotografie e strette di mano. Vorrebbero offrirgli un piccolo stipendio, comparabile a quello che guadagna aiutando sua mamma con le pulizie a scuola.
«È bello che Vanja trovi il tempo per fare tutte queste attività, ma spesso si addormenta in macchina mentre andiamo agli allenamenti. – dice Jura – Con questo contratto, vorremmo alleggerire un po’ la sua quotidianità, offrirgli una nuova esperienza lavorativa per avvicinarci insieme al nostro obiettivo futuro: essere un centro sportivo inclusivo. Sarà un centro aperto a tutti, ma a lavorare e ricevere uno stipendio decente saranno proprio i nostri ragazzi».
«Vorremmo un confronto faccia a faccia con lo Stato». L’acceso dibattito tra i genitori dei ragazzi dell’accademia
Dal golf club ci muoviamo in macchina verso il campo d’allenamento: non è particolarmente lontano, sono letteralmente sette-dieci minuti. Paša racconta che i ragazzi adorano andare allo stadio a guardare lo Zenit San Pietroburgo. Il calciatore più amato da tutto il gruppo è Dzjuba [Dzyuba, secondo la traslitterazione anglosassone, N.d.T]. Questa tesi è immediatamente infranta da Vanja:
- «Vanja, quale calciatore dello Zenit ti piace di più?»
- «Mi piacciono Pavel Pogrebnjak e Andrej Aršavin. Anche Anatolij Timoščuk. I nuovi calciatori non li conosco molto»
«Un ragazzo vecchio stampo» sospira Paša, che elenca i piani per il 2021: iscrivere più spesso gli allievi dell’accademia ai tornei cittadini, giocare con l’accademia della Juventus e affiliarsi allo Zenit San Pietroburgo: la squadra di basket [dello Zenit, N.d.T] invita già i ragazzi a vedere le partite, resta da stringere un accordo con la squadra di calcio. Prima di ciò, vogliamo cambiare le divise del gruppo. «Abbiamo bisogno di una divisa con il nostro simbolo – dice Paša – Ci siamo già rivolti allo studio di design Quberten. Ci hanno risposto che per loro va bene. Ora sono impegnatissimi, ma in estate potranno occuparsi del nostro progetto per una somma ragionevole. La divisa attuale non ci piace affatto: non fa respirare il corpo ed è troppo semplice. Vorremmo che fosse più elegante».
Gli allenamenti si svolgono nell’edificio della fabbrica Krasnyj treugol’nik [Triangolo rosso, N.d.T]. Lì ci sono ancora piccole produzioni di gomma e nastri trasportatori, ma i locali sono principalmente affittati come uffici. L’edificio, situato nei pressi del canale Obvodnyj, è stato costruito nel 1860: il lungo stabile in mattone rosso scuro include diversi edifici collegati, formando un cortile chiuso. L’atmosfera generale è anche leggermente spaventosa.
Mentre raggiungiamo il terzo piano, dove si trovano le sale sportive, Vanja parla al telefono con la sua ragazza. Per qualche motivo lo fa in vivavoce. Continuano a parlare anche in macchina, il dialogo piace a Vanja. Lui sorride e ripete costantemente: «Ma certo, ti amo». Prima dell’arrivo della persona che apre la sala, avvertono Vanja che tutti stanno sentendo il dialogo con la sua ragazza. Lui non disattiva il vivavoce, ma si allontana semplicemente.
L’allenamento che sta per iniziare è quello dei migliori giocatori dell’accademia, si sono riunite otto persone: sei ragazzi e due ragazze. Ho fatto subito conoscenza con il portiere: la 14enne Liza. Mi hanno già parlato di lei: va da sola a scuola, va a fare la spesa al supermercato e cucina in autonomia. Sua mamma Ljudmila Kogoleva è proprio una di quelle persone che aiutano Paša e Jura in tutto. Di fronte al fascino di Liza è impossibile resistere: fa un milione di domande sul mio lavoro, mi permette di menzionarla in questo testo e si avvicina per abbracciarmi. Gli abbracci sono uno strumento importante per comunicare per le persone con la sindrome di Down. Paša e Jura dicono che i primi tempi, a causa degli abbracci, erano costretti a fermare gli allenamenti, mentre ora i ragazzi sono diventati più disciplinati.
Il gruppo si cambia rapidamente ed entra in uno spazio gigante, suddiviso in diverse sale. I ragazzi si allenano nell’area più grande, lungo una striscia di enormi finestre che una volta erano di plastica. Allacciarsi le scarpe è l’unica difficoltà che hanno i ragazzi con l’attrezzatura. Vanja, ad esempio, riesce a gestire questo problema, mentre per altri è difficile a causa dei disturbi della mobilità. Perciò Paša e Jura vogliono comprare a tutti delle scarpe da ginnastica con gli strappi.
I ragazzi mi sorprendono immediatamente: nessuno si azzarda a correre col pallone finché gli allenatori non hanno dato il via all’allenamento. Solo passaggi precisi e tiri in porta. Anche il riscaldamento è serio, anche se durante la corsa alcuni tentano di sorpassarsi a vicenda. Poi lavorano con la palla e con il sistema Goal Station.
Mentre i ragazzi sono impegnati con gli allenamenti di calcio, faccio conoscenza con i genitori. Accompagnare i ragazzi non è sufficiente, perciò le mamme e i papà seguono gli allenamenti per un’ora e mezza. Poi c’è chi va a casa e chi prosegue con altre attività. Per esempio Larisa Efimova, mamma del 14enne Igor’, dice che [dopo l’allenamento, N.d.T] andranno in piscina per un allenamento di controllo prima del campionato di San Pietroburgo. «Torniamo a casa e facciamo i compiti. Riusciamo a combinare tutte queste attività con la scuola. Mio figlio ha chiuso il quadrimestre con un solo quattro. Per il resto ha solo cinque [il sistema di votazione nella scuola russa prevede una scala da due, insufficiente, a cinque, votazione massima, N.d.T]» racconta la donna.
I genitori spiegano che i loro figli frequentano praticamente ogni giorno dei circoli di attività ricreative e non lo fanno perché sotto pressione, ma perché a loro piace. «Questo è ciò che distingue i nostri bambini. Chiedi loro: cosa ti piace di più? Loro ti rispondono: mi piace tutto!» spiega la mamma di Liza.
«I nostri bambini hanno bisogno di essere portati fuori dalla comfort zone. Per questo bisogna sempre insegnargli qualcosa. Noi genitori non siamo eterni, dobbiamo far sì che loro socializzino. Dobbiamo essere sicuri che si inseriscano nella società, che si trovino a proprio agio qui» elenca un altro aspetto Nadežda Evseeva, mamma della 14enne Alesja, la seconda bambina nel gruppo.
I genitori apprezzano particolarmente il calcio, spiega la mamma di Liza. «È molto importante il fatto che si tratti di un gioco di squadra. Ciascun bambino ha le proprie peculiarità: a me, il mio, io sono le parole che sentiamo più spesso. Il calcio insegna loro che bisogna aiutarsi a vicenda e ascoltarsi. Anche eseguire un passaggio significa vedere un compagno di squadra».
«Il calcio abbatte i loro limiti, – dice la mamma di Alesja – [i bambini, N.d.T] iniziano a fare quello che prima non facevano. E se all’inizio lo fanno con una certa paura, la seconda e la terza volta lo fanno bene».
Perché i bambini con la sindrome di Down possano fare sport e frequentare attività ricreative, è necessario prendersi cura di loro sin dalla nascita, quasi quotidianamente. Oggi molte più persone sono pronte a educare questi bambini: 20 anni fa, la quota di rifiuto di maternità in queste situazioni raggiungeva il 95%. Nel 2021 è scesa al 50%. In Russia, la sindrome di Down colpisce un neonato su 600-800. Secondo i dati del fondo Downside Up, circa la metà di loro è in età infantile.
Sta cambiando anche l’atteggiamento della società. Ora è pressoché impossibile che i dottori spaventino i genitori e li convincano ad abortire, mentre in passato era piuttosto normale.
[…]
«La società non è abbastanza pronta per accogliere queste persone, – è sicura la mamma di Alesja – lo abbiamo notato quando i nostri figli erano più piccoli e andavamo al parco giochi. Allo stesso modo quando andavamo nei bar o in qualsiasi altro posto in cui ci fossero delle persone. Iniziano a prendere le distanze dai nostri figli, quasi a sottolineare che loro non sono così. Li indicano. I bambini si integrano bene a vicenda, mentre gli adulti si allontanano, impediscono ai figli di avvicinarsi ai nostri, chiedono loro di isolarsi. In clinica lo noto molto spesso».
Anche Liza, che si era iscritta con successo a dei corsi presso la scuola di musica, non ha avuto una storia facile. Quando è arrivato il momento di partecipare al corso, sono sorti dei problemi. Sua mamma ricorda: «Siamo andati con tanta allegria, l’unica richiesta da parte loro è stata di sedermi vicino a lei. E così ho fatto. Ci siamo preparati tre anni, dovevamo partecipare a tutti i costi. L’educatrice che ci ha seguito ci ha detto che si sarebbe battuta perché Liza venisse accettata, dato che sia le sue mani che il suo udito sono a posto.
Ci mettiamo in fila [il giorno dell’inizio del corso, N.d.A]. Quando tocca a noi, ci dicono: «Entra solo la mamma». Entro. Mi dicono: «Beh, Lei lo sa che sua figlia ha una diagnosi. Che scuola musicale vuole che frequenti?» Non capisco: «Perché? La ragazzina ha studiato tre anni, l’educatrice ci ha detto che è tutto a posto». Il direttore della scuola, allora, ha lasciato intendere che loro partecipano a dei concorsi, hanno bisogno di risultati concreti, indicatori… A quel punto, ce ne siamo andati. Liza non capiva quello che stava succedendo, mentre io ero molto turbata. Quando ci vanno di mezzo i soldi, le cose si sistemano. Ma quando è gratis, è completamente diverso. È stato triste e offensivo nei nostri confronti».
«La diagnosi ora è quasi un marchio, – dice la mamma di Alesja – ci fanno fuori subito. Non si può andare avanti così, bisogna offrire loro un’opportunità di sviluppo. Adesso si scopre che il salvataggio di coloro che annegano è compito di chi sta annegando».
Quest’ultima frase è più una valutazione dell’assistenza offerta dallo Stato ai bambini con la sindrome di Down. La pensione per un bambino è di circa 13.000 rubli al mese [circa 143 euro, N.d.T]. Dopo i 18 anni, questo bonus non esiste più, nonostante a questa età inizi la tappa più complicata della loro vita. In Russia per le persone con la sindrome di Down è quasi impossibile trovare un lavoro, mentre nei Paesi occidentali ci sono 25-30 posizioni lavorative che potrebbero occupare, ad esempio il massaggiatore, il parrucchiere, il cassiere, il segretario, il farmacista, il bibliotecario. «Quando serve fare qualcosa correttamente sul piano tecnologico, i nostri ragazzi sono sicuri di farcela. – dice la mamma di Alesja – Hanno bisogno di portare il lavoro alla perfezione, in questo modo possono rivelarsi dei lavoratori molto bravi. La cosa fondamentale è stabilire un ciclo. Poi impareranno passo dopo passo e alla fine faranno bene».
Quando chiedo che aiuto offre il governo, tutti si guardano in faccia e stanno in silenzio per alcuni secondi. Poi, d’un tratto, si ricordano dei buoni da utilizzare per le cure in sanatorio che, tuttavia, sono molto difficili da ottenere. La mamma di Igor’ dice che nella sua regione ci sono quattro centri di riabilitazione per bambini e uno per adulti. In quello per adulti ci sono la piscina, dei laboratori di ceramica, corsi di parrucchiere. In quello per bambini è possibile lasciare il proprio figlio per cinque o sei ore e occuparsi delle proprie commissioni: è un aiuto concreto.
A dir la verità, non tutti sono così fortunati con i centri di riabilitazione. Le altre mamme raccontano che nelle loro regioni questi centri non esistono o lavorano male. Ad esempio, ecco la storia di Vera Šivis, mamma del 19enne Teofan Čistokovskij, che Paša e Jura definiscono calciatore pensante con un passaggio elegante:
«Noi siamo di Vsevoložsk, nel Lenoblast, non molto vicino a San Pietroburgo. Per 14 anni non siamo mai entrati nel centro di riabilitazione regionale. Per riscattare il buono, in 14 anni, siamo andati solo una volta in tutto. Ci dicono: «La regione è grande, non siete gli unici». Ho persino smesso di chiamare il centro. Mi hanno offerto di portare Teofan la mattina, ma io ho risposto che lui è a scuola e al mattino non possiamo. Non può saltare la scuola. Ho chiesto almeno di avere un appuntamento verso le 16:00, ma nulla. Ci servirebbe davvero un logopedista, ma non lo abbiamo».
[…]
Al termine della chiacchierata sul ruolo dello Stato, tra le mamme si apre questo dialogo:
- Mamma di Alesja: «Siamo una presenza fissa per i bambini, affrontiamo talmente tante difficoltà che è impossibile seguire la politica globale».
- Mamma di Liza: «Ora non sappiamo a chi credere. Ai politici che vediamo in televisione o a quelli che incontriamo di persona».
- Mamma di Teofan: «Dobbiamo credere più a quello che vediamo con i nostri occhi».
Ad ogni modo, le mamme fanno notare che la situazione sta migliorando perché le persone sono sempre più informate sulla sindrome di Down e smettono di avere paura. Poi, scherzano sul fatto che nella lotta contro il mondo che le circonda, sono loro a «fabbricarsi le armi». In questo senso, la principale riflessione è legata al Down Zentr di San Pietroburgo. È stato fondato nel 2003 da genitori che si erano abituati a risolvere da soli i propri problemi, per gli stessi genitori dei ragazzi con la sindrome di Down. Così, tutto è diventato più facile. Lì non conta la tua regione o città di provenienza: aiutano davvero tutti.
Vorremmo che la situazione cambiasse in fretta, ma per il momento le persone che hanno familiari con la sindrome di Down devono fare affidamento su sé stesse o su persone come Paša e Jura.
«Meno male che ci sono loro, – dice la mamma di Liza – i nostri allenatori. Io non ho davvero parole per descriverli. Si sono impegnati, hanno accettato di occuparsi dei nostri ragazzi non sapendo che tipo di persone si sarebbero trovati davanti. Hanno anche accettato le ragazze. Bravi. Se comincia a correre uno di loro, tutti i bambini lo seguono. Sono attivi, energici. I bambini cambiano subito lo sguardo. Lo sport e il calcio aiutano molto. In passato, era difficile costringerli a rispettare le regole, mentre ora aspettano con calma l’arrivo dell’allenatore o quando sono in coda».
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Al termine dell’allenamento, ho avuto modo di conversare ancora con Paša e Jura in merito alle loro idee per il domani. Jura specifica: «Mi piacerebbe continuare a sviluppare questo progetto. Forse, in futuro, potremmo integrare questa iniziativa anche in altri Paesi e costruire centri inclusivi, inserendo gli atleti come personale professionale.
Probabilmente solo in Russia i funzionari sportivi possono impedire la crescita di un progetto simile. Quegli stessi funzionari che sono incaricati di occuparsi dello sviluppo dello sport per le persone con disabilità. Stanno provando a ostacolare anche noi, ma in questo momento non siamo pronti per giudicarli. Crediamo che le buone azioni siano più importanti di tutto ciò».
Quest’anno, i fondatori hanno in programma di aprire un bar in cui potranno lavorare le persone con disabilità. Subito dopo l’allenamento, andranno a vedere come funziona questa idea nell’unico posto simile già esistente a San Pietroburgo: il bar Ogurzy.
Ci stringiamo la mano. Paša e Jura se ne vanno.
È possibile seguire gli aggiornamenti sui progetti dell’accademia grazie all’account Instagram @47_v_igre.
(Per la traslitterazione dei nomi propri dall’alfabeto cirillico a quello latino è stato adottato il sistema scientifico. Si ringraziano l’autore e le testate sports.ru e tribuna.com per la cortesia e la disponibilità, il testo è stato adattato per ragioni di spazio)