Il calcio è sin da piccolo la sua grande passione, visto come unico svago da un’epoca di grandi privazioni come gli anni’50 nel contesto magiaro; a rendere ancora più complicata la sua esistenza arriva la morte del padre quando ha solo tre anni, costringendo la madre a trascurarlo per guadagnare quanto necessita per lui e per il fratello maggiore.
Quella che sembra una passione giovanile si tramuta nell’opportunità di una vita migliore nel 1962, quando entra nella giovanili del Videoton dopo essere stato notato in un match scolastico.
Tra qualche problema alle ginocchia ed una struttura fisica che sembra a molti troppo gracile, riesce ad entrare in prima squadra 19 anni, dando una svolta significativa ad una vita altrimenti dedicata al duro lavoro.
L’esperienza con i rossoblu di Székesfehérvár termina nel 1968 quando si trasferisce al Ferencváros, la sua squadra preferita per il quale ha sempre tifato, ammirando i grandi campioni del decennio precedente.
Ad accrescere l’onore di giocare per la compagne biancoverde c’è il fatto di poter giocare con Florian Albert, il calciatore magiaro più forte del periodo, nonché fresco Pallone d’Oro.Nella sua prima stagione vince subito il campionato, mettendosi in mostra come una mezzapunta di talento e di grande versatilità, a suo agio in un squadra che fa del possesso palla e della manovra articolata un autentico mantra.
Negli anni successivi arrivano due coppe nazionali ed, a livello internazionale, il raggiungimento della semifinale di Coppa Uefa 1971/1972. A frapporsi tra il Fradi e la finale contro il Tottenham è il Wolverhampton, abile a pareggiare per 2-2 in Ungheria e ad imporsi per 2-1 al Molineaux. In quest’ultima partita è proprio un gol di Kű ad inizio ripresa a alimentare infruttuose speranza di rimonta.
A livello internazionale però l’apice lo raggiunge nel 1972, quando con la nazionale maggiore vola in Belgio per la fase finale dell’Europeo e con la rappresentativa olimpica partecipa ai Giochi di Monaco di Baviera.
L’Ungheria ritorna giocarsi la vittoria del Campionato Europeo dopo il terzo del 1964 grazie alla vittoria ai quarti di finale contro la Romania, decisa solamente nello spareggio di Belgrado grazie al successo per 2-1, dopo che le due partite di andata e ritorno erano terminate con altrettanti pareggi.
La compagine del commissario tecnico Rudolf Illovszky trova sulla sua strada la forte Unione Sovietica, dalla quale viene battuta per 1-0 per effetto del gol di Anatoliy Konkov.
Nella finale per il terzo posto il Belgio prevale per 2-1, con Kű che si toglie la parziale soddisfazione di segnare su rigore il suo unico gol con la maglia della nazionale maggiore.
La squadra magiara, sempre allenata da Illovszky, domina letteralmente il proprio girone di qualificazione alla finale, battendo Germania Est, Messico ed i padroni di casa della Germania Ovest, questi ultimi annichiliti con sonante 4-1, impreziosito da una bella doppietta di Kű.
Quest’ultimo rientra in patria con la medaglia di argento, mal accolta da federazione e dal governo che sognavano il terzo oro consecutivo dopo i successi del 1964 a Tokyo e del 1968 a Città del Messico.
Per Kű invece i problemi saranno di tutt’altra rilevanza a partite dal 1977, quando la sua permanenza in Ungheria diventa difficile per non dire impossibile.
Da sempre l’attaccante di Székesfehérvár approfitta delle trasferte oltreconfine per avvicinare i tanti immigrati magiari, per portare loro conforto e condividere le notizie provenienti dalla comune patria.
Tale comportamento gli vale l’accusa di svolgere antinazionali, con fini contrari a quello che sono i principi base dello stato ungherese. Le accuse arrivano sullo scrivania del presidente della federazione calcistica István Kutas, il quale non perde tempo per accusare Kű di essere contrario ai principi comunisti e di essere un fervente antisemita.
La prima conseguenza di tali infamanti accuse è quella di essere licenziato dal Ferencváros, poco propenso ad avere in rosa un giocatore inviso alle autorità, nonché una potenziale patata bollente tra le mani nei mesi a venire.
Dopo qualche partita al Vasas diventa per lui impossibile continuare giocare anche in un contesto diverso, ricevendo una mano dall’ex gloria Gyula Grosics, che gli concede la possibilità di giocare con il Volan.
E’ però evidente come per lui non sia solo questione di squadra o città, ma di nazione, dal momento che il lavoro per screditare il suo nome lo ha reso generalmente persona sgradita.
Nel 1977, esasperato dalla situazione, mette in atto un piano di fuga davvero degno di un film.
A questo punto la questione si fa più complessa, sfociando nell’illegalità: sfruttando contatti in Belgio, Kű ottiene un passaporto falso che gli permette di entrare nel territorio belga e di poter allenarsi con il piccolo club del Courtrai. In tale contesto viene notato dai dirigenti del Bruges che decidono di metterlo sotto contratto.
Ovviamente dall’Ungheria la sua fuga e le sue peripezie tra i confini di mezza Europa non vengono prese bene, causandogli un squalifica internazionale di una anno.
Non contenti della punizione il governo ungherese diffonde voci per screditarlo ulteriormente, come quella che vivesse come un clochard o quella che sarebbe stato coinvolto in una rissa e portato in prigione.
La sua carriera viene salvata dal leggendario Hernst Happel, allenatore del Bruges, che gli conferma la sua massima stima e la sua volontà di inserirlo nell’undici titolare non appena terminata la sospensione.
A mettere fine alle tendenziose voci e alla sua assenza forzata dai campi arriva la finale di Coppa dei Campioni del 10 maggio 1978, disputata proprio dai Blauw en Zwart contro il forte Liverpool di Bob Paisley: nel match vinto dai Reds per 1-0 il calciatore magiaro scende in campo con il numero 10 per 58°, confermando a tutto il mondo (sono 120 i paesi collegati televisivamente) il suo status di uomo e calciatore libero.
Addirittura avrebbe anche la possibilità di portare in vantaggio la sua squadra verso la fine del primo tempo, quando solo un tempestivo intervento di Emlyn Hughes riesce a mantenere inviolata la porta di Ray Clemence.
A 32 anni viene attratto dai dollari americani della Major Indoor Soccer League, dove ha la possibilità di giocare con Eusebio nei Buffalo Stallions, nei quali milita per una stagione, prima di tornare per giocare con l’Eisenstadt e l’FC Mönchhof in Austria e mettere fine alla sua carriera agonistica nel 1984.
La sua vita post calcio lo vede diventare uno stimato uomo d’affari, sempre legato alla sua patria, nella quale ritorna nel 1997 dopo vent’anni di forzato esilio contraddistinto da una fuga rocambolesca e da anni difficili affrontati però con sfrontatezza ed orgoglio.
Davvero un’esistenza limite quella di Lajos Kű.
Articolo originale: La fuga di Lajos Ku