Di Matshelane Mamabolo – New Frame, 05/10/2020. Traduzione di Alex Čizmić
Accettando il ruolo di allenatore dell’Al Ahly, il Club del Secolo, Pitso è entrato nella fossa dei leoni. Ma l’ex allenatore del Mamelodi Sundowns non è intimidito dal nuovo incarico.
Anche se si era ritirato già da tempo, Pitso Mosimane difficilmente portava la barba nel 2001 e il tenore di grassi nel suo corpo era minimo. La sua era la tipica storia di calcio di un ex campione che tenta di sfondare anche come allenatore. Solo che lui non era il tipico ex campione.
Mentre molti danno per scontato che i successi sul campo di un ex campione si trasformino automaticamente in trionfi in panchina, “Jingles” (il soprannome di Mosimane, N.d.T.) sapeva che per affermarsi come allenatore non sarebbe bastato raccontare ai suoi giocatori delle sue vittorie con Jomo Cosmos, Mamelodi Sundowns e Orlando Pirates o vantarsi della sua esperienza in Grecia.
La sua pancia piatta prendeva fuoco tanto ardentemente quanto lo fa ora il suo stomaco sporgente da 56enne, che minaccia di far saltare i bottoni della sua camicia bianca e inamidata mentre ci sediamo a casa sua per l’intervista alla vigilia della sua partenza per l’Egitto.
Il fatto che ora sia l’allenatore dell’Al Ahly non è frutto né del caso né della fortuna. Mosimane sogna in grande da quando ha sostituito Bruce Grobbelaar per diventare tecnico ad interim di un SuperSport United che annaspava sull’orlo della retrocessione nel 2001.
Durante un’intervista negli uffici del SuperSport United a Randburg, ben prima che vincesse il suo primo titolo nel 2004, Mosimane mi rese partecipe delle sue ambizioni. «È ovvio che voglio vincere trofei. Perché allenare se non sogni di vincere dei titoli? Ma voglio di più. Voglio allenare in Africa. Voglio sperimentare il calcio del continente. E anche se questo volesse dire partire da una squadra in Swaziland (oggi e-Swatini, N.d.T.), andrebbe bene».
Fu una risposta inaspettata. D’altronde, al tempo – e in larga parte anche oggi – i tecnici sudafricani aspiravano solamente ad allenare le due big tradizionali o, i più ambiziosi, la nazionale.
“Jingles”, invece, aveva sogni differenti. Dovrebbe essere risaputo che ha trasformato l’allora anonimo SuperSport United in una squadra specialista di coppa nazionale e candidata alla vittoria in campionato, a cui vanno aggiunte ottime partecipazioni alle competizioni internazionali. Idem per il fatto che Mosimane è stato CT della nazionale.
LA STRADA VERSO IL CLUB DEL SECOLO
Fu mentre Mosimane era il selezionatore del Sudafrica che Patrice Motsepe mostrò i primi segni di apertura.
Al tempo, durante un’intervista svolta all’ora di pranzo a Sandton, il presidente del Mamelodi Sundowns venne al ristorante dove ci trovavamo per parlare. Rivolse a me le sue ultime parole: «Parlaci, ragazzo. Sei suo amico. Convincilo a venire al Sundowns».
Pitso ridacchiò.
«Ci andresti?», gli chiesi.
Rise di nuovo e si gustò il suo pasto.
In quasi otto anni al Sundowns, Mosimane si è imposto come uno dei più grandi allenatori del continente. E la sua nomina a tecnico del club più importante d’Africa non è una coincidenza. Mosimane si è guadagnato questa promozione.
Senza dubbio, è stato aiutato dal fatto che ha lavorato per un club pieno di risorse. Così tanto da averlo ammesso durante una recente intervista. «È evidente che il presidente ha messo a nostra disposizione le sue risorse, senza le quali non avremmo mai ottenuto tutto questo».
Mosimane ha comunque dovuto sudare le proverbiali sette camicie per garantire quei successi. Coloro che hanno lavorato con lui parlano di come spesso li chiamasse a notte fonda o la mattina presto per discutere di una giocata andata male in partita o di un risultato negativo.
I calciatori del Sundowns analizzano singolarmente il loro gioco, la partita della squadra e i rivali perché non vogliono trovarsi in discussione con l’allenatore. Una volta Mosimane mi disse che talvolta invidia molti allenatori della Premier Soccer League (la prima divisione sudafricana, N.d.T.), in particolare quelli europei.
«Questi sono in vacanza. Passano il tempo nei centri commerciali o ai ristoranti. Alcuni trascorrono la maggior parte del tempo nei campi da golf. Ehi, quella è vita. Piacerebbe anche a me, ma non posso. Devo lavorare. Chi si occupa di analizzare il nostro prossimo rivale nel turno preliminare della CAF Champions League (l’equivalente africana della Champions League, N.d.T.) se non faccio ricerche per conto mio?».
È per questo motivo che a casa sua non ci sono meno di quattro decoder della DStv (televisione satellitare dell’Africa Subsahariana, N.d.T.). Molti dei quali con poca memoria restante, pieni come sono di registrazioni di partite di qualunque competizione africana, così come di molte gare di basket e documentari. Mosimane ama il basket.
«Sono un grande fan di Phil Jackson. Quell’uomo è una leggenda. Mi piacerebbe arrivare a quel livello un giorno, ma bisogna lavorare duro eh. Non ci si arriva dalla mattina alla sera», disse in un’intervista di qualche anno fa.
Eravamo nel suo studio quella volta e la sua libreria sarebbe potuta essere facilmente scambiata per quella di una delle migliori biblioteche pubbliche, tanto era piena. Mi regalò uno dei suoi libri, Eleven Rings di Phil Jackson.
Il fatto che ammiri il leggendario allenatore di Chicago Bulls e Los Angeles Lakers conferma quanto Mosimane sogni in grande.
E mentre si apre sul trasferimento all’Al Ahly, racconta di come si augura di vedere allenatori del calibro del suo pupillo Rhulani Mokwena diventare grandi in Europa.
«Dico sempre a Rhulani che loro sono la generazione di allenatori locali che andrà in Europa. Come potrebbe Rhulani ad andare in Europa? Pitso deve andare in Egitto e dimostrare che possiamo affrontare grandi sfide. È difficile, ovviamente. Parlavo con [l’ex attaccante del Manchester United] Dwight York quella volta in cui eravamo fummo chiamati come opinionisti entrambi e mi diceva quanto sia difficile per loro [allenatori neri] farsi spazio in Premier League. Mentre allenatori [bianchi] che non hanno mai giocato ottengono opportunità. Senti, all’Al Ahly sono serviti 100 anni per ingaggiare un allenatore nero, ma quando uno di noi ottiene queste possibilità, e vince, può aiutare [ad aprire le porte per altri allenatori neri]».
ENTRARE NELLA FOSSA DEI LEONI
Di tutte le reazioni all’ingaggio di Mosimane come allenatore dell’Al Ahly, la più eloquente è stata forse un tweet di un egiziano-americano di nome Hosam Gabr. «Dovete essere orgogliosi che lui sia il prima allenatore africano non egiziano ad assumere l’incarico», ha twittato @SamGabr14.
Senza dubbio, una porzione dei tifosi del Sundowns ha espresso delusione e rabbia nei confronti di Mosimane per essersi liberato del loro club come fosse una patata bollente. Dopo tutto, è stato l’uomo che li aveva appena condotti al terzo successo consecutivo in campionato, il quinto della sua gestione e il decimo totale per i “Brasiliani” (soprannome del Mamelodi Sundowns, N.d.T.) dall’avvento della Premier Soccer League.
Il recente prolungamento del contratto per quattro anni ha reso la sua partenza improvvisa molto più complicata da sopportare per i Masandawana (altro soprannome del Mamelodi Sundowns, N.d.T.).
Tuttavia, non si può negare che il trasferimento di Jingles sia un momento di cui andare fieri. Non solo per la comunità del calcio sudafricano, ma anche per il resto dell’Africa Subsahariana. La scelta di un’enorme istituzione come l’Al Ahly, il Club del Secolo che ha compiuto 103 anni, di affidarsi a un allenatore proveniente da questa regione per risollevare le proprie sorti comunica agli allenatori neri che non c’è niente che impedisca loro di sognare in grande. Di certo, se Pitso ha potuto compiere questo gigantesco passo avanti, possono farlo anche loro.
Il tweet di Gabr, comunque, andava avanti. Essenzialmente, nella seconda parte riassumeva al meglio la specie di calderone in cui si trova Jingles in questo momento. «Credo che se non vince la Champions League, tra un mese verrà rispedito a casa».
Un po’ esagerato, forse. Di sicuro l’Al Ahly non giudicherà le capacità di Mosimane in sole tre partite, non è così? I Diavoli Rossi sono in semifinale di Champions League* dove affronteranno in una sfida di andata e ritorno il Wydad Casablanca, i maggiori rivali di Mosimane, per un posto in finale contro il Zamalek – gli acerrimi nemici dell’Al Ahly – o il Raja Casablanca.
Si sentono i sudafricani menzionare il Chippa United in riferimento a quella squadra della provincia del Capo Orientale il cui patron è celebre per la sua lunaticità?
Senza dubbio, l’Al Ahly ha ingaggiato Mosimane con l’obiettivo di tornare sul tetto d’Africa dopo una atipica astinenza di sette anni. L’ultimo trionfo, contro l’Orlando Pirates, risale al 2013. Se è vero che, in un’analisi più ampia, non vincere la Champions League metterebbe Mosimane in una posizione di svantaggio, lo è altrettanto il fatto che il presidente dell’Al Ahly Mahmoud El Khatib sia un uomo di calcio – una leggenda del club negli anni ’70 e ’80 – e molto probabilmente manterrà un po’ di pazienza con il suo nuovo allenatore.
Non che Mosimane non sia consapevole della situazione in cui si è infilato. «È come allenare il Real Madrid o il Barcellona in Europa. Come allenare il Flamengo o il Santos, oppure il River Plate o il Boca Juniors in Sudamerica. È qualcosa di grande allo stesso modo. Quindi ti dici che devi accettare».
«Ovviamente sai che i rischi sono elevati in questi grandi club. Se guardi alla sola bacheca della squadra, non puoi andarci piano perché gli allenatori hanno vita breve lì. Ma potevo dire la stessa cosa quando sono arrivato al Mamelodi Sundowns. La longevità degli allenatori al Sundowns era inferiore a un anno; parlo di otto o nove mesi prima che io arrivassi. Mi chiedevo: ‘Voglio davvero andare in quell’ambiente?’. E poi guarda cosa ne è venuto fuori, sono rimasto quasi otto anni. Quindi devi andare e credere che ce la farai».
«Non vado dove penso che non funzionerà. Credo che andrà bene perché ho giocato contro il Zamalek e ho giocato contro l’Al Ahly. Non solo una volta. Sono le due squadre dominanti che vincono il campionato in Egitto. Quindi cos’altro mi dovrebbe spaventare di quell’ambiente? Inoltre, se la battono con il Wydad contro cui ho giocato, penso, dieci volte».
È sempre stata una persona sicura di sé, Pitso Mosimane. E sebbene sia effettivamente un calderone quello in cui si è immerso, se c’è un allenatore sudafricano che può trasformare in successo i suoi due anni di contratto con il club più grande del continente, questo è Mosimane.
*L’articolo originale è stato pubblicato prima dello svolgimento delle semifinali di CAF Champions League.