di Tauan Ambrosio, Corner, numero 10. Traduzione di Alessandro Bai.
Quando Heleno de Freitas fece innamorare Gabriel García Marquez del calcio
Benedetto craque maledetto. Heleno de Freitas è stato uno dei tanti personaggi capaci di portare il suo calcio al di là del rettangolo verde, uno dei primi fenomeni mediatici nato dai campi brasiliani. Grande idolo del Botafogo nell’era pre-Garrincha, giocava un calcio tanto elegante quanto il suo gusto per abiti e macchine, oltre ad avere un comportamento tanto scioccante quanto i suoi tiri verso la porta.
Nel 1949, quando aveva già imboccato il rettilineo finale della sua carriera, l’umore di Heleno era più fuori controllo che mai. Gli attacchi di rabbia, che anni prima erano confinati al campo, occupavano praticamente tutto il tempo dell’attaccante della Seleção. In quello stesso anno, Heleno conquistò con il Vasco il suo primo e unico titolo di campione carioca e, nonostante fosse già un po’ sovrappeso e all’inizio della sua decadenza, i dieci gol segnati nel percorso che portò alla vittoria del campionato statale richiamarono l’attenzione dei colombiani dell’Atletico Junior.
Praticamente in contemporanea, un colombiano giovane e talentoso cominciava un percorso di successo dopo aver abbandonato gli studi di diritto per dedicarsi alla letteratura. Da lì a pochi mesi, Gabriel García Márquez avrebbe iniziato a scrivere splendide cronache mischiando il calcio agli accadimenti confusi che si verificavano nel Paese in ambito politico. Proprio in Heleno de Freitas, il futuro vincitore del Premio Nobel del 1982 avrebbe trovato l’ispirazione per appassionarsi al calcio e a quel personaggio che lui, Gabriel, avrebbe poi raccontato così bene nelle sue storie spettacolari.
Nonostante stesse cercando un acquirente per quel giocatore problematico, che si azzannava col tecnico Flávio Costa, il Vasco temeva l’approccio di qualsiasi squadra colombiana perché, in quell’epoca, il governo locale stava investendo nello sport per creare quella che sarebbe passata alla storia come “Liga Pirata”: i club negoziavano direttamente con gli atleti e, non essendo affiliati alla FIFA, non si curavano di pagare la società che deteneva il cartellino del giocatore. Al São Januário, il malcontento per questa situazione fu così grande che si pensò di rivolgersi alla giustizia del lavoro. Ma non servì a nulla.
La popstar che scosse Barranquilla
Un bonus di 15 mila dollari alla firma, oltre 2 mila al mese di stipendio, più altri incentivi legati ai risultati, furono sufficienti per convincere Heleno, persino a un solo anno dalla prima Coppa del Mondo disputata in Brasile. L’attaccante, dopotutto, sapeva che non avrebbe fatto mai parte di una selezione allenata da Flávio Costa. Ma c’era di più: oltre alla scommessa fatta puntando sul buon momento del calcio colombiano, Heleno era stanco della sua grande popolarità nelle strade di Rio de Janeiro.
Il campionato colombiano del 1949 fu impreziosito anche dagli arrivi di alcuni grandi nomi del calcio argentino, come Adolfo Pedernera, Néstor Rossi e Alfredo Di Stéfano. L’idea di provarci per Heleno fu di Elba de Pádua Lima, conosciuto come Tim. Grande craque del calcio brasiliano, stava già vivendo la fase finale della sua carriera quando diventò allenatore/giocatore nell’Atletico Junior de Barranquilla e decise di cercare un attaccante alla sua altezza per poter appendere le scarpette al chiodo una volta per tutte.
Heleno disprezzava la città. Non immaginava di trovare un centro così sviluppato e avvolto dalla cultura quanto la sua Rio de Janeiro o Buenos Aires, dove ebbe un’esperienza significativa ma breve con il Boca Juniors. Quando salì sul volo che lo portava verso la nuova destinazione, il campione irascibile credeva di trovare un po’ di pace al suo arrivo. Di buono ci fu che poté godersi le belle spiagge e non seppe resistere al fascino di alcune donne. Non si aspettava però di essere una stella così grande. Dentro al campo, attirava la curiosità dei tifosi locali per il suo talento e per il temperamento acceso, era come se fosse una stella di Hollywood. E il popolo amava quel tocco di pazzia inserito nello spettacolo, fatto di spavalderia verso arbitri, compagni di squadra e avversari.
«Il dottor de Freitas», raccontò García Márquez, ricordando la formazione di Heleno in diritto, «si dimostrava capace di coniugare perfettamente i tempi semplici del verbo ‘fare’ […] E stando a quanto mi hanno raccontato alcuni che quel giorno erano all’Estádio Municipal, quella del brasiliano fu una prestazione miracolosa», scrisse il giovane genio per El Heraldo, dopo lo show dell’attaccante nella vittoria della sua squadra contro lo Sporting, grande rivale della città di Barranquilla.
Il matrimonio di García con il calcio
Fu nella partita di maggior richiamo, però, che Heleno mostrò quella capacità incantatrice di essere decisivo, finendo per trasformare un freddo Gabriel García Márquez in un fervente ammiratore del calcio. La sfida in questione fu quella contro il fortissimo Millonarios, dove giocavano Di Stefano, Pedernera e lo storico portiere Julio Cozzi. Curioso di vedere da vicino quel personaggio che faceva ammattire i colombiani, ed eccitato per l’aspettativa data dal grande duello, lo scrittore confessò nella cronaca di non essere mai arrivato con così tanto anticipo a un impegno.
L’attesa valse la pena.
Consapevole del fatto che il tasso tecnico degli avversari fosse superiore, Heleno decise di giocare da solo – non prima di essersi lamentato un po’ dei suoi compagni. Questo atteggiamento si era rivelato una vera e propria roulette russa nella storia dell’attaccante: molte volte, l’individualità eccessiva era stata la sua rovina, molte altre, invece, si era dimostrata un grande vantaggio. In quel 14 giugno, lo portò a brillare e segnare un gran gol nella vittoria della sua squadra. Il residuo di talento in un artista in decadenza ispirava un altro artista in ascensione. La cronaca “El juramento”, pubblicata poco dopo, segna il matrimonio di García Márquez con lo sport britannico.
All’interno del testo, il colombiano raccontò che non avrebbe mai immaginato di far parte di una tifoseria calda, considerata ridicola, almeno fino a quando lui stesso non si ritrovò a fare la parte dell’’hincha”, aggiungendo che, se i giocatori su quel campo fossero stati scrittori, «il maestro Heleno sarebbe stato uno straordinario autore di romanzi gialli».
Alla fine di quella stagione, i Millionarios furono la grande delusione del campionato, chiudendo al secondo posto, l’Once Caldas la grande sorpresa, grazie a un titolo insperato, e Heleno il grande personaggio. Ma pur essendo continuamente cercato da persone che lo amavano nonostante la sua pazzia, partì per tornare in Brasile senza neanche salutare.
Amore ai tempi del colera
Il ritorno di Heleno in Brasile fu molto diverso da come lui si immaginava: nessuno voleva più avere a che fare con lui. Provò anche a tornare al Vasco, la squadra migliore del Paese a quell’epoca, che ancora deteneva il suo cartellino, ma fu cacciato e umiliato dal tecnico Flávio Costa, furioso per le critiche fatte da Heleno in relazione alla sconfitta contro l’Uruguay nella finale di Coppa del Mondo del 1950. L’attaccante arrivò persino a puntare una pistola in direzione dell’allenatore, che disarmò quell’essere umano decadente e lo prese a botte.
Non c’era una scelta alternativa a quella di accettare una nuova proposta dell’Atlético Junior e tornare in Colombia. In questa seconda esperienza, però, i biancorossi di Barranquilla videro soltanto il lato negativo del craque brasiliano. Heleno arrivò ancora più sovrappeso, dominato dalla dipendenza dall’etere (che sniffava, n.d.T) e con la sifilide già in stato avanzato, il che accentuava ancor di più i suoi attacchi di rabbia. Il tifoso Gabriel García Márquez fu deluso da quel personaggio, che descrisse nel suo racconto più importante sull’attaccante.
«Quello che sarebbe sceso in campo quel pomeriggio non era l’Heleno di due anni prima […] Grazie alla sua presenza, però, ogni tifoso va allo stadio come se avesse in tasca un biglietto della lotteria. Perché con Heleno non esistono mezzi termini, o almeno, non è questo ciò che il pubblico vuole da lui. Si comporta come un ciarlatano, il pubblico sa di avere comprato un biglietto perdente, che però dà diritto a fischiare».
Continua García: «Come ho provato a dire settimane fa, il Junior ora è completo. Quando vincerà, sarà una squadra ammirabile, equilibrata, con un carattere di cemento armato. Se perderà – e spero che accada poche volte -, Heleno sarà ancora una volta l’impostore, l’idiota del villaggio con una palla ai piedi. Questo basterà a rendere il pubblico felice, poiché nel calcio vige la regola secondo cui quando si vince, anche la torcida lo fa, ma quando si perde tocca alla squadra affrontare da sola la tempesta della sconfitta. In questo ultimo caso, i tifosi si limitano a pagare le scommesse e dire che fino a quando Heleno de Freitas rimarrà in Colombia, le strisce rosse e bianche non avranno speranza».
Il contratto del brasiliano con il campionato colombiano durò fino alla fine di agosto, poi, in preda alla pazzia, Heleno abbandonò una partita decisiva senza alcun motivo già nel primo tempo. I tifosi si infuriarono a tal punto che il giocatore dovette fuggire dallo stadio correndo, con la divisa ufficiale ancora addosso. Fu una delle sue ultime apparizioni in Colombia, dove il fascino per il personaggio dura però ancora oggi.
Il rubacuori vanitoso finì per morire in miseria in un ospizio di Barbacena (Minas Gerais) nel 1959, sopraffatto dalla pazzia causata dalla sifilide. Gabriel García Márquez avrebbe scritto ancora molti capolavori negli anni successivi, come “Nessuno scrive al colonnello”, “Cent’anni di solitudine”, “L’amore ai tempi del colera” e “Cronaca di una morte annunciata”, ma mai, fino al suo ultimo respiro esalato nel 2014, avrebbe trovato un personaggio così affascinante come quel brasiliano, che non fu totalmente patetico solo per il fatto di essere un genio dentro ai campi da calcio.
Un ringraziamento speciale a Tauan Ambrosio e la rivista Corner per la collaborazione