di Enrique Medina – El Gráfico, 1984
https://www.elgrafico.com.ar/articulo/1088/35645/yo-fui-maradona-por-enrique-medina
Traduzione di Andrea Meccia
Nel 1984, prendendo spunto dal fenomeno Maradona esploso in Italia, Enrique Medina prova a mettersi nei panni di Diego e immagina i sentimenti provati, prima di entrare sul terreno di gioco, il giorno che ha debuttato con la maglia del Napoli.
Sì, sono ancora giovane. È questo che devo tenere bene a mente. Sono giovane. Non devo più rompermi la testa. Dimenticare ciò che mi dà fastidio. Le invidie. So che sono in tanti che vorrebbero vedermi distrutto. Ne sono certo. Non è facile sostituire un amico con uno sconosciuto. Per quanto uno sia famoso. Devo uscire da qui tranquillo, senza fomentarmi troppo, come se fossi alla partita numero cento. Se mi metto a trottare come un cavallo penseranno che voglio mettermi in mostra. Ho bisogno di scaldare i muscoli. Fare dei numeri. Mi piace giocare, mi piace giocare. Sì, mi piace giocare a calcio, al fútbol. Mi piace giocare con il pallone, di testa, contro una parete, fare un tunnel, fare una rovesciata, una bicicleta, fare finta di andare da un parte e scappare dell’altra, fare mia la palla dopo un rimbalzo, toccarla ad effetto, metterla in un angolino…
Dove sono? Questa volta con me non c’è el Flaco Menotti. Dio, come mi proteggeva! Almeno c’è Cysterpiller, el Gordo. E sarà la stessa cosa se stiamo uniti. Sembriamo Guillermo Vilas e Ion Tiriac… Anche la lingua non è dalla mia parte. Non molto, per la verità… Ma è insopportabile non capire il loro dialetto. Dai, ce ne sono stati tanti qui prima di me comunque. Sivori, el Cabezón. Mi terranno d’occhio al primo passo falso. Che el Cabezón non lo avrebbe fatto, che questo e che quello. In Spagna è già successo… No, è stato diverso. C’era el Flaco. Abbiamo provato a dire la nostra. Bisogna fare dei sacrifici e amen. Qui devo ancora adattarmi alla loro mentalità. Cosa penseranno di me? E niente. Non voglio bruciarmi a questo punto della mia vita. Me ne frego. Dove sono? Non posso chiedere di più. Sono arrivato in cima alla vetta.
Loro mi danno la forza. Stanno tutti bene. Il mio papà, mi viejo. Com’è felice mio padre! I miei fratelli… El Gordo mi ha parlato di un altro calciatore… un tal Ricagni… Gli hanno detto che era fortissimo. Era dell’Huracán. Ma quello che non mi lascia tranquillo è el Cabezón. Se lo ricordano ancora. Devo dare tutto in queste prime partite. Non lasciarmi cadere mai anche se me le daranno. In questo el Flaco era duro. Tu non devi cadere! Claro, è facile dare ordini. Quello che prende i colpi è uno. Uno mette i parastinchi, certo, ma poi il colpo si sente, mi fa perdere l’equilibrio… Come diceva Bonavena? «Consigli, consigli, ma quando suona la campana ti tolgono pure lo sgabello…». Già, era geniale e le sapeva tutte… El Gordo mi fa una testa così con queste cose. Che devo avere più idee, più giocate brillanti. No, non ci devo pensare. Devo fare bene ciò che so fare e ciao. E poi a me piace fare quello che faccio. Ancora oggi mi piace fare numeri nei quindici minuti dell’intervallo. Dicevano che me la tiravo facendo l’artista. Imbecilli. Non mi rendevo conto che li facevo sbuffare. Ma sì, che sbuffino pure. Non ho bisogno di fare i numeri nell’intervallo per brillare, imbecilli, io faccio bella figura durante la partita. E niente…
È stato un errore. Non doveva dargli retta al Gordo. Dovevo mettermi le scarpette che avevo in Spagna. Quando le ho messe ho sempre giocato bene. Che rottura. Dovrei andare a cambiarle. Anche se manca poco. Che faccio? Dico che vado a cambiarmi le scarpette? Lo dico o non lo dico? Che mi diranno? Niente! Devo fare in fretta, tutto qui. Non mi picchierà. A volte sono uno scemo… Mi butto giù… Gli altri sono delle carogne. Mi tolgono le energie solo a guardarmi. Non me ne perdonano una. Ma si ricrederanno! Al diavolo le scarpette, sono ben fasciato, calzettoni, parastinchi, adesso prendo la palla, vedranno, tranquillo papà, non deluderò nessuno, né i tifosi argentini, né la mia famiglia, né i tifosi di qui, anzi li farò impazzire, e che sbuffi il portiere italiano, vedrà, vedrà. Non gli segnerò neanche un gol? Sì, ma non mi dire, ti faccio entrare nella porta con tutta la palla, spaccone, tutti fanno dichiarazioni parlando di me, questo si crede il Cassius Clay del fútbol, che non segnerò neanche un gol, e i giornalisti lo scrivono a caratteri grandi, claro, così mi uccidono, devo segnare di prepotenza, per quanto giochi bene se non faccio un gol vince lui, insomma entro in campo che devo per forza fargli un gol… Devo controllarmi. Che vadano al diavolo loro e le loro dichiarazioni. Devo giocare bene. Devo giocare bene. Fare un buon gioco e darla sui piedi dei miei compagni. Devo dimenticarmi di quel chiacchierone del portiere. Se non gli faccio gol perdo. Devo entrare in campo tranquillo….
Come gridano! Dicono che gli italiani sono peggio degli spagnoli. Bueno… Mi scaldo tutto? Sembro un pibe di seconda divisione che deve debuttare in prima… Me ne frego… Potrei perfino abbandonare se volessi. Ho tutto. Mamma e papà stanno bene. Mi sposo. Faccio figli. Addio. Posso pensare ad altro. Non appena smetto di sentire allegria in campo, chiudo. Ho il mio campo da gioco e gioco quando mi pare e piace. Già, al Gordo non gli va giù quando dico queste cose. Ma un giorno dovrò lasciare… Ma no, lui insiste con Di Stéfano, che era addirittura nonno quando giocò le ultime partite… Dopo questa, dove andiamo? Chiuso. Devo stare bene per godermi le cose. Che non accada più che mi spacchino una gamba. Quella volta mi è andata bene… Ho temuto che la mia carriera finisse lì, con quella frattura. Sono giovane! Sono giovane! Non porto rancore a quel gallego. Come mi ha ridotto! Tre mesi per tirarmi su. La testa non si fermava mai. In tanti ci godevano. Si vedeva. Sempre gridandomi in faccia chi era Pelé. Sempre. In Argentina era Pelé; in Spagna, Di Stéfano; qui el Cabezón… Poveretto chi verrà dopo di me… El negro Pelé ha fatto cose grandissime. Devo stare attento. Giro anche dei film. Il Cosmos non mi prenderà mai, no, vorrei chiudere la carriera con l’Argentinos Juniors.
La gente della villa. Se mi vedesse adesso… Mi svegliavo per l’umidità. I miei amici. Calpestando il fango, saltando i fossati. Che posso fare? Non so più cosa fare. Regalare magie. Che altro? Era questo che volevo da bambino. Magie, sì. Se non faccio niente, sono un egoista; e se regalo magie sono un demagogo. Sono come la gatta Flora. Mi piaceva quel tango. Da lì mi è venuta l’idea. Di questo bazar di magie. Come lo canta bene Podestá. Eh, il tango è popolo da illudere. Se va bene con il tango perché non va bene che lo faccia io?
I miei genitori hanno fatto tanti sacrifici per me. Sono scoppiato a piangere la prima volta che sono andati in vacanza… Tutti insieme e il mare… Mi piacerebbe vivere di fronte al mare… Anche la montagna mi piace… Pensare che da bambino neanche ci pensavo a giocare in prima divisione, roba da pazzi. Come sono cambiate le cose. Devo pensare al gol. Il gol. Dimenticarmi del portiere e fare un gol. Non per lui, per me. Se gli faccio gol lo ignoro, e farò pure finta di non aver capito quello che ha detto. All’inizio, giro rapidamente intorno alla cosa. Bisogna evitare le provocazioni e che mi falcino le gambe.
Già iniziano a gridare il mio nome, cercherò di non essere antipatico. Non devo esagerare. Sto bene. Ho dormito abbastanza. Sto bene. Devo fare attenzione a quello che dico nel dopo-partita. La lingua non sta mai ferma, miseria ladra.Mamma e papà sono un fascio di nervi. Poverini. Non capisco. Non dovrei preoccuparmi tanto nonostante tutto. Eviterò di fare tunnel e cose esagerate. Giocherò in modo serio. Secondo me questi sono gelosi per i cori dei tifosi. Potrebbero fermarsi. I tacchetti mi fanno male… Avrei dovuto cambiarmi gli scarpini. Li cambio adesso? No, è già troppo tardi. Porca miseria, avrei dovuti cambiarli. Devo riscaldarmi nella maniera giusta. Mi piace giocare. Mi piace giocare. Prima non avevo bisogno di ripetermelo… Devo fare un respiro profondo. Riscaldare i muscoli. Poi vedrò le immagini. Non smettono di gridare. Da quanto tempo sono in questo mondo? Avanti, fuori. Correndo con allegria, come se nella mia testa ci fosse la primavera. Gridano ogni secondo di più. Forza e stai tranquillo. Mi piace il fútbol. Ieri avevo tre anni e mi regalarono il primo pallone da calcio. Oggi entro per la prima volta in uno stadio di un altro Paese. Ma l’animo non è lo stesso. In quei tempi giocavo mentre facevo colazione. Ora ci sono i dirigenti, gli allenatori, quelli che ti saltano addosso per scattarsi una foto. Ti tolgono il respiro. Gridano sempre più forte. Può crollare tutto da un momento all’altro. Avanti, sbruffone, si va… Ti prometto che andrai a cercare la palla in fondo alla rete…. e anche questi scarpini.