di Fernando Martinho – Corner, maggio 2021
Traduzione di Alessandro Bai
La dicotomia intorno a Cláudio Coutinho, allenatore del Brasile del 1978 e del Flamengo di Zico.
La figura di Cláudio Coutinho suscita perlomeno due interpretazioni in netta contrapposizione tra loro. C’è chi lo considera un tecnocrate che ha ingessato il calcio della Seleçao brasiliana con concetti europei e c’è chi invece lo ritiene responsabile intellettuale del miglior Flamengo della storia, che giocò un futebol genuinamente brasiliano e fornì la spina dorsale del Brasile del 1982, la squadra che, a detta di molti, eseguiva il calcio nella sua essenza.
La Seleção del 1982, seppur composta dal nucleo flamenguista creato dallo stesso Cláudio Coutinho, era sprovvista di quella dedizione all’aspetto tattico che il tecnico ha imposto in diversi modi con il passare del tempo. La squadra di Telê Santana giocava con uno stile più libero, che badava più a cosa fare con la palla tra i piedi che senza. A differenza del 1970, quando giocatori dalle caratteristiche simili furono adattati a svolgere altre funzioni più difensive, nel Mondiale spagnolo del 1982 Cerezo, Sócrates, Falcão e Zico calcavano la stessa zona di campo, creando così uno squilibrio in una squadra che poteva già contare su due terzini offensivi e dalla tecnica incredibile, come i rubro-negros [rossoneri, come i colori del Flamengo, N.d.T] Leandro e Júnior.
Nel calcio brasiliano ad ogni sconfitta viene attribuito un peso estremamente sproporzionato, e lo stesso accade per le vittorie. Il “risultatismo” culturale del Brasile viene da lontano, ma il 1982 fu uno di quegli episodi che quasi sfuggirono a questa regola, dato che dopotutto si tratta di una Seleção che sarà ricordata in eterno. Esiste però un altro componente di quel match che continua ad essere attuale, ed è l’incapacità di capire che nel calcio, molte volte, si perde, ma soprattutto che l’altro può vincere. E infatti, l’Italia vinse, non fu il Brasile a perdere. In due si sfidano, uno trionfa e l’altro perde, ma questa logica non è mai così immediata per i brasiliani.
Il Brasile del 1978 non restò nella memoria collettiva, a dispetto del terzo posto ottenuto al Mondiale. Nonostante le accuse di favoritismo nei confronti dei padroni di casa, la Seleção riuscì a pareggiare con l’Argentina nella partita passata alla storia come la “Battaglia di Rosario”. Il duello tra Brasile e l’Albiceleste non si guadagnò questo appellativo per il calcio messo in mostra, bensì per la guerra ruvida che ebbe luogo sul rettangolo verde. Per l’occasione, l’abito indossato dalla squadra di Coutinho fu proprio questo: tanta lotta e poca qualità.
Coutinho si divideva tra la panchina del Flamengo e il lavoro alla CBD [Confederazione brasiliana degli Sport, antesignana della CBF, la Confederazione brasiliana di calcio, N.d.T] praticamente fino allo scioglimento dell’organismo, diventato CBF dal 1979. Proprio in questo anno, prendeva forma il suo Flamengo che avrebbe poi vinto il titolo nazionale nel 1980, e fu sempre nel 1979 che una partita tra il Fla di Coutinho e il Palmeiras di Telê Santana rappresentò probabilmente uno spartiacque storico per il calcio brasiliano, con la vittoria per 4-1 dei Palestrinos al Maracanã, in una sfida valida per i quarti di finale del Brasileirão, all’epoca chiamato Copa Brasil. A partire da quel momento, il nome di Telê fu accostato alla carica più prestigiosa per un allenatore di quell’epoca, proprio al posto di Coutinho, rimasto alla guida della Seleção fino al termine della Copa Amêrica del 1979.
Prima di forgiare il Flamengo che vinse vari titoli negli anni a venire, l’esperienza di Coutinho sulla panchina del Brasile meritò persino una piccola menzione, per niente onorevole, nel libro “La piramide invertita” di Jonathan Wilson: «Nel 1978, il Brasile passò nelle mani di Cláudio Coutinho, un capitano dell’esercito che lavorò a fianco di Zagallo nel 1970. Coutinho insisteva sul fatto che il suo obiettivo fosse la polivalenza e, quando convocò il coraggioso Marinho Chagas per schierarlo esterno sinistro nelle qualificazioni, sembrava essere coerente. Tuttavia, nel periodo di preparazione precedente alla Coppa del Mondo, Coutinho tornò a puntare su ciò che conosceva meglio, la preparazione fisica. La sua squadra non era più sciolta o meno grezza della Seleção di Zagallo di quattro anni prima: la relazione del tecnico con Zico era turbolenta, Rivellino era fuori forma, così Coutinho finì per schierare un terzino destro, Toninho, da ala destra. Anche così, in qualche modo, il Brasile riuscì a conquistare il terzo posto finale».
Questo è lo spazio riservato dal libro di Wilson a Cláudio Coutinho. Quando l’autore affronta il tema della nazionale del 1982, che poteva contare su Leandro, Júnior e Zico, tre pilastri del Flamengo che aveva vinto la Coppa Intercontinentale sei mesi prima battendo il Liverpool, Wilson non cita né il Mengão né tantomeno Coutinho, per ovvie ragioni. Quel trofeo non è mai entrato a far parte della lista dei desideri dei club inglesi e la struttura di gioco del Brasile di Telê non aveva nulla a che vedere con quella del Flamengo di Carpegiani [tecnico che guidò il Flamengo all’Intercontinentale, N.d.T] o Coutinho.
Nel 2020, Zico si è espresso sul tecnico nel canale YouTube dei giornalisti Eduardo Tironi e Arnaldo Ribeiro: «La parte tattica l’ho imparata grazie a Cláudio Coutinho. È stato un grande personaggio, che ha provato a muovere qualcosa nella nostra testa, sia al Flamengo che nella Seleção. L’inizio fu complicato, per pensare alla tattica ci dimenticavamo della nostra creatività».
Contattato per questo articolo, Zico ha messo in evidenza un cambiamento nella parabola di Coutinho avvenuto tra i suoi inizi al Flamengo e la fine della sua esperienza, culminata con il primo titolo brasiliano del club. Alla domanda sulle differenza tra il Coutinho della Seleção del 1978 e quello del Flamengo, specialmente nel 1979 e 1980, il “Galinho” ha risposto che «ciò che ci chiedeva al Flamengo era la stessa cosa richiesta con la nazionale, guardava con entusiasmo all’Olanda del 1974 e credeva che i brasiliani, per la qualità tecnica che possedevano, potessero raggiungere un’applicazione tattica superiore. Forse finì un po’ per esagerare, mettendo la parte tattica davanti a quella tecnica, che invece avrebbe dovuto sempre venire prima, avendo rappresentato da sempre la forza del calcio brasiliano. Molti giocatori erano più preoccupati di accontentare le sue richieste che di giocare come sapevano fare normalmente, con qualità, creatività, diciamo in modo più intuitivo, quelle cose tipiche del futebol”.
Ma Zico ha parlato anche dei cambiamenti: «All’inizio fu un po’ complicato. I miei compagni volevano solo svolgere compiti tattici, dimenticandosi del dribbling e della creatività che caratterizza il calciatore brasiliano. Ma quando Coutinho tornò dalla Coppa del Mondo [del 1978, N.d.T] lavorava in modo davvero diverso rispetto a ciò che faceva prima nel Flamengo. Portò altri concetti, cambiando la maniera di lavorare – ci aiutò a capire l’importanza della tattica durante una partita, cercava di costruire una squadra compatta e unita, capace di creare con il pallone e di difendere quando non ce l’aveva. Poiché il Flamengo non aveva in rosa molti giocatori bravi in marcatura, era importante che tutti stessero vicini perché questo potesse funzionare. E alla fine, funzionò: penso che la squadra messa in piedi dal Flamengo nel 1981 nacque da un tocco iniziale di Coutinho, in grado di unire la parte tattica alla tecnica dei giocatori».
Nella rivista Trivela, Emmanuel do Valle ha scritto un profilo impeccabile di Coutinho, che va anche oltre le parole di Zico: «L’eredità dell’allenatore, però, supera i confini del suo mandato alla guida del club: è grazie all’ispirazione data dalle sue idee che il Flamengo avrebbe compiuto quei passi che l’avrebbero portato al titolo mondiale».
Di fatto, la squadra del 1981 che tutti gli amanti di calcio – tifosi del Flamengo o meno – hanno incensato, optava per uno schieramento tattico molto simile a quello della formazione di Coutinho che conquistò il titolo del Campeonato Brasileiro nel 1980.
Nonostante l’assemblaggio della squadra che vinse la Coppa Intercontinentale 1981 sia, senza dubbio, un’eredità lasciata da Coutinho, la conquista maggiore del suo Flamengo non fu il titolo nazionale dell’anno precedente. Guardando ai fatti in modo anacronistico, considerando cioè i valori successivi al 2000, o persino al 2010, il campionato nazionale non vantava poi questo livello eccezionale. Sì, era molto importante, ma il Campionato Carioca possedeva un’altra dimensione. All’epoca i campionati statali avevano una grande rilevanza economica ed erano più redditizi anche della Libertadores, dato che gli incassi provenivano esclusivamente dalla vendita dei biglietti delle partite. Non c’erano sponsor né diritti tv.
La grande impresa di Coutinho con il Flamengo, quasi dimenticata con gli anni, fu la conquista del titolo carioca del 1978, ottenuta con un emblematico colpo di testa di Rondinelli dopo un calcio d’angolo di Zico. Il difensore fece un gol in perfetto stile Sobrenatural de Almeida, [un personaggio defunto di fantasia, N.d.T] che secondo quanto profetizzato dallo scrittore Nelson Rodrigues abitava al Maracanã.
Quindi, la vittoria di un campionato statale è stato il maggior risultato ottenuto da Cláudio Coutinho al Flamengo? Sì, è così.
Potrebbe suonare assurdo per chi è nato dopo il 1990 ed è cresciuto, legittimamente, guardando al Brasileirão come il principale titolo, anche a causa della decadenza dei campionati statali, specialmente dopo il passaggio al girone all’italiana. Eppure, non è stato così ovvio: senza andare ad approfondire troppo, la struttura politico-sportiva brasiliana è stata storicamente regionalizzata e sfruttata politicamente dalla CBD durante il regime militare, periodo nel quale si diffuse la massima «dove lo stadio è pieno, una squadra nel campionato nazionale; se lo stadio è vuoto, va comunque una squadra nel campionato nazionale» [un detto che rispecchiava la politica voluta dal regime, che puntava a far partecipare il più alto numero possibile di squadre al campionato nazionale; come nel 1979, quando presero parte addirittura 94 club, N.d.T].
Anche se dal 1959, in quello che viene considerato ufficialmente il primo Campeonato Brasileiro, vinto dal Bahia, la rappresentante brasiliana in Copa Libertadores era la vincente dell’allora Taça Brasil, gli innumerevoli cambi di format dell’epoca, sommati a una formazione geografica totalmente decentralizzata, non nel suo potere politico ma sul piano delle telecomunicazioni e della stampa, davano a ciascuno Stato della Federazione autonomia e protagonismo sportivo. Il campionato statale vantava più spazi nel calendario e, come già detto, più biglietti venduti per una semplice ragione: le rivalità locali.
Nonostante il Torneo Rio-São Paulo avesse accorciato le distanze sportive tra le due principali città brasiliane, quando il Santos di Pelé, il Palmeiras di Ademir e, più tardi, il Cruzeiro di Tostão facevano visita al Maracanã, davano luogo a partite che sembravano quasi delle amichevoli a confronto di quelle giocate nelle competizioni da vincere a tutti i costi contro il Botafogo di Garrincha, il Flamengo di Evaristo, il Vasco di Bellino o il Fluminense di Castilho o Carlo Alberto Torres. Erano eventi che nutrivano una rivalità interstatale tra le due capitali più popolose del paese, ma non la rivalità tra club. L’antagonismo che ci si avvicinò di più fu quello tra Santos e Botafogo, che però non era minimamente paragonabile alla rivalità tra i bianconeri di Rio e il Flamengo, o a quella presente in un Fla-Flu.
Tra il 1958 e il 1970, il Vasco non ha vinto alcun titolo statale. Dopo la vittoria [del Campionato Carioca, N.d.T] del 1970, l’allora nascente Campeonato Brasileiro – la cui prima edizione disputata sotto questo nome fu nel 1971 – avrebbe visto il Vasco trionfare nel 1974, rendendo il club cruzmaltino la prima squadra di Rio a vincere la competizione. All’epoca il Vasco poteva contare su un tale Roberto, al quale era stato affibbiato il soprannome di “Dinamite”, e la competizione con l’illustre Zico era tanto sentita da arrivare a sfociare in una rivalità vera e propria tra le due squadre, che andasse oltre il fatto di provenire semplicemente dalla stessa città. Fu negli Anni Settanta che Flamengo e Vasco divennero protagoniste dei clássicos di Rio, attirando milioni di cruzeiro, come spiega anche il nome di questo derby [quello tra Vasco e Flamengo è chiamato “clássico dos milhoes”, ovvero “derby dei milioni”, N.d.T].
Fu in questo contesto, con un Vasco ormai solido che il Flamengo non riusciva a battere da sei partite ufficiali, che la squadra di Coutinho si impose per iniziare a costruire la storia che tutti conoscono. Tre volte campione statale, campione brasiliano (1980) e intercontinentale (1981), oltre ai successivi trionfi nazionali del 1982 e 1983 che nacquero con quel colpo di testa di Rondinelli.
Tutte le idee tattiche auspicate da Coutinho, tutte le sue conoscenze da preparatore fisico e tutto il talento di una generazione che si stava formando dipesero da una palla alta calciata in mezzo all’area da Zico, che non era abituato a battere calci d’angolo, e dalla salita di un difensore, al 42esimo minuto del secondo tempo di una partita giocata di fronte a più di 128 mila persone. In palio, c’era la possibilità di cambiare la storia di un club.
Anche dopo una morte tragica [il tecnico è morto nel 1981, a 42 anni, dopo essere affogato mentre praticava pesca subacquea, N.d.T], esisteranno sempre due narrative intorno a Coutinho: una che lo dipinge come tecnocrate, o la persona che ingessò il calcio di una Seleção indimenticabile, l’altra che lo ritiene invece mentore di una delle squadre più geniali viste in Brasile e nel mondo intero.
Si ringraziano l’autore Fernando Martinho e la rivista Corner per la disponibilità.