Articolo originale di Roberto Brambilla
«Cosa vuol dire fare gol?» «Vuol dire non solo finalizzare il mio sforzo ma anche quello dei miei compagni, dei difensori che fanno una chiusura e dei centrocampisti che fanno un passaggio». Così Maximiliano Espinillo ha spiegato al quotidiano Página/12 la sua concezione del gol. Perché per Maxi, attaccante della Nazionale argentina di calcio a 5 per non vedenti, segnare è il suo mestiere. Ai Giochi Paralimpici di Tokyo 2020, dove i Murciélagos sono arrivati alla medaglia d’argento, il numero 15, lo stesso di Leo Messi ad Atene 2004, ne ha fatti sette, con ben tre doppiette, di cui una in semifinale con la Cina.
Un bottino che gli è valso il titolo di capocannoniere e l’onore di portare la bandiera albiceleste dell’Argentina nella cerimonia di chiusura delle Paralimpiadi. Un sogno vero, quello di Maxi, 27 anni, soprattutto se come lui, sei nato a Villa El Nylon, in una delle zone più difficili di Cordóba, in una casa in cui come ha ricordato lo stesso attaccante, “pioveva più dentro che fuori”. «Vengo da una famiglia umile – ha raccontato ancora a Página/12 – ho avuto una bella infanzia ma non avevamo molto. Avevo bisogno di soldi per comprarmi le scarpe. Il calcio è sempre stato la mia passione, mi ha salvato la vita e ha realizzato i miei sogni».
Per guadagnare quei soldi Maxilimiano, che ha perso la vista a 4 anni dopo un’operazione necessaria per il distaccamento della retina dovuta a un virus, lavora con i suoi genitori. «Erano venditori ambulanti in centro – ha raccontato Maxi, che ha un fratello maggiore anche lui non vedente e calciatore in un’intervista a La Voz – cominciai a lavorare con loro. Poi andavo sugli autobus. Vendevamo pile, orologi, un po’ di tutto. Io vendevo dolci sui bus, caramelle, cioccolato. Lavoravo dalle 9 alle 13».
Intanto però c’era il calcio, la passione anche di suo padre. A Villa El Nylon Maxi per praticarlo, oltre alla passione, aveva bisogno di un po’ d’ingegno. Dato che nessuno aveva una palla sonora, come quella che normalmente si utilizza nelle partite di calcio a 5 per non vedenti, Maximiliano e i suoi cugini decisero di trovare un’alternativa. Prendevano un pallone, lo mettevano in un sacchetto di plastica, lo bucavano e lo riempivano di pietre. Una soluzione semplice ma efficace per il ragazzino di Cordóba che passa intere giornate con quella sfera. A 13 anni i primi allenamenti veri. E poi la scalata dall’Unión Cordobesa para Ciegos al Medea fino a Los Buhos, club di Santa Fe che gioca in prima divisione e alla Nazionale, dove ha esordito nel 2013, debuttando l’anno successivo al Mondiale perso in finale ai supplementari contro il Brasile, la Nazionale che anche a Tokyo ha tolto l’oro ai Murciélagos.
In questo percorso c’è un denominatore comune: il gol. «Non so quanti ne ho fatti – ha detto Maxi, che riesce a distinguere solo se giorno o è notte, a Página/12 – mi piacerebbe saperlo, ma ne ho fatti tanti e ho perso il conto». Un attaccante prolifico ma completo. «Ancora mi sorprende – spiega al sito El Destape Marcelo Gomez, il suo allenatore nei Buhos – la sicurezza con cui si muove, come si mette a posto con il corpo. È un fenomeno, ogni volta che prende palla è impossibile muoverlo». L’hanno paragonato a Messi, anche se lui ha altri modelli. «Ammiro Cristiano Ronaldo – ha detto Maxi, tifoso dell’Instituto di Cordóba e del Boca a Página/12 – è un grande goleador, atletico e completo. Degli argentini mi piacciono Kun Agüero, Pipa Benedetto e Wanchope Ábila». Per Espinillo la prossima sfida, oltre a quella di trovare un lavoro grazie a Los Buhes, è trovare un lavoro e magari vincere l’oro con l’Albiceleste.