Revista Obdulio, 24/05/2021

Traduzione di Andrea Meccia

Dicono ci sia un motivo per il quale la posizione di Javiera Moreno, attuale giocatrice dell’Audax Italiano ed ex della Universidad Católica, è quella di centrocampista di contenimento: dà via al gioco, orchestra le azioni per andare a rete e sempre, senza eccezioni, mette il collettivo di fronte al personale. «La Javi ti passa la palla anche se ha la porta davanti a sé perché sa che c’è qualcuno più capace di fare gol», racconta Tess Strellnauer, ex compagna di squadra della Moreno. Questo, a detta di Javier Chacón, ex allenatore della calciatrice, è un tratto caratteristico della sua personalità: «Javiera gioca in una posizione di equilibrio. Così come dà una mano per attaccare, così si spende nella fase difensiva. Ma è anche questa la sua personalità. È molto collaborativa con il resto del gruppo e anche nella sua vita privata è così. Sarà anche un cliché, ma al calcio si gioca come si vive». E su questo Javiera è d’accordo.

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Javiera Moreno si siede a conversare con me in videochiamata al mattino, un giorno nel mezzo della settimana. Ha un caffè tra le mani, i capelli bagnati e mi sorride mentre le illustro un po’ lo schema dell’intervista. Cominciamo la conversazione parlando di come percepisce in questo momento la sua carriera di futbolista: riscoprendosi come giocatrice e «voglio ancora di più», racconta. Oggi milita nell’Audax Italiano, in prestito, dopo aver militato dieci anni nella Universidad Católica, squadra di cui è stata capitana.

È arrivata all’Audax infortunata. «Sono arrivata qui con la voglia di conquistarmi un posto, di giocare e apprendere tanto. Non sono più nella Católica e devo relazionarmi con altre Javis Morena che sono qui da dieci anni. Vogliamo arrivare ai play-off, riuscire a qualificarci per la Coppa Libertadores raggiungendo il terzo posto. Voglio giocare, voglio essere titolare».

I suoi primi passi nel fútbol li attribuisce a suo fratello, cadetto della Universidad de Chile. Era troppo piccola, non poteva rimanere da sola in casa e per questo si ritrovava spesso ad assistere ad allenamenti e partite. «Non facevo altro che respirare calcio», racconta. Tuttavia, fu suo padre a vedere su un giornale un annuncio di una scuola calcio femminile. Così, a nove anni, Javiera entrò nel Club Red de Fútbol Femenino, iniziando una fase che lei descrive come formativa. «Oggi è più diffusa la possibilità che ci si inizi ad allenare da bambina, ma prima si cominciava più tardi: all’università o non prima dei 16 anni. Io ho iniziato a nove anni e lo ritengo un privilegio che mi auguro possano avere in tante, perché si tratta di una formazione sportiva, ricca di valori e umanamente molto importante. E sono anche principi di calcio che poi, da grande o prima dei 17 anni, non hai più il tempo di praticare, come ad esempio, il controllo di palla e il passaggio». 

Con o senza fascia

I cambiamenti non sono mai facili. Tuttavia, Javiera ammette di sentirli particolarmente difficili. Dopo cinque anni, la sua scuola calcio non c’era più a Santiago e pertanto, stesso destino per altre compagne, dovette cercarsi un club. Fu un’amica che la spinse verso la Univerdidad Católica, dove era ormai pronto un ricambio generazionale. «Era l’epoca del mondiale under 17 di Trinidad e Tobago. C’erano tante calciatrici della Católica e molte di quella generazione stavano per fare il salto di categoria e ci sarebbero stati quindi tanti posti vuoti». Quell’organico aveva giocatrici del calibro di Camila Sáez, Fernanda Pinilla, Iona Rothfeld, María José Urrutia e Yanara Aedo.

Dopo un mese di prova, rimase alla Católica. Anche se, racconta che le costò tanto lasciare il gruppo che aveva formato nella Red. Continua ad essere amica di alcune sue compagne di scuola ed anche oggi con alcune di loro condivide la militanza nell’Audax Italiano. 

Il suo arrivo alla Católica ha portato con sé importanti responsabilità: è stata capitana nell’under 17 e poi in prima squadra. Un ruolo complesso, ma che valorizza. Per lei, essere capitana vuol dire essere la voce delle compagne, rappresentare la mistica e l’identità del gruppo e del club. Dai suoi racconti, il fatto che le sue compagne abbiano posto tanta fiducia in lei è un qualcosa di molto importante, «ma una persona è come è in campo con o senza fascia». E questo è un elemento che chi conosce Javiera sottolinea.

Stando a quanto racconta Javier Chacón, per diciotto anni direttore tecnico della selección universitaria di calcio femminile della Universidad de Chile e DT di Javiera mentre studiava psicologia in quella istituzione, la Moreno è schietta ed onesta, ma non come quelle persone che dicono di essere dirette e poi sono offensive, no, lei è un toccasana per i gruppi, si fa voler bene, è sempre dalla parte del collettivo e la cosa si riflette sul campo come calciatrice e come capitana. Perché sì, Javiera è stata capitana anche di quell’equipo

Non sono amiche di calcio

«A me Javiera non era simpatica», confessa Tess Strellnauer, ex calciatrice della Católica e attuale presidenta della Asociación Nacional de Jugadoras de Fútbol Femenino (ANJUFF). Nonostante oggi siano molto amiche, racconta di un respingimento iniziale verso Javiera. «Mi stavo allenando con altre giocatrici e mi dissero “senti un po’, quella con le scarpe grigie e gialle gioca proprio bene, non rompere che ci stiamo allenando” e la prima che vidi con quelle scarpe, era proprio la Javi e la trattai in malo modo. Io ero dell’idea “ah, che bidone questa” e poi mi dissero che in realtà non era così», ricorda mentre non riesce a trattenere una risata.

Tess e Javiera si sono conosciute nel 2011 all’Universidad Católica. In quell’anno, per via del ricambio generazionale, arrivarono tante nuove giocatrici da altri club della capitale come Santiago Oriente, club da cui proveniva Tess e di tante altre, tra cui Tiane Endler. Stando ai racconti, ad unirle furono i gusti in comune, oltre all’amore per il fútbol, ma «non siamo amiche per il calcio, siamo amiche per la vita». E così sono andate insieme a concerti, al mare e, inoltre, furono parte delle Hijas de Bello, il nome con cui si conosce la selección universitaria di calcio femminile della Universidad de Chile. 

«A livello universitario, se nomini le Hijas de Bello, tutti le associano al fútbol», racconta Javier Chacón, tra le altre cose fondatore della nazionale. «Las Hijas de Bello è un marchio molto potente. Da tempo, si trasmettono questa cosa di generazione in generazione. È un modo di essere compagne molto bello». In questa squadra, Javiera ha condiviso il campo con altre amiche che non sono solo legate dal calcio, ma sono amiche nella vita, come Iona Rothfeld, attuale jugadora dell’Audax Italiano.

Nonostante Javiera giocasse nel weekend con la Católica, «nella selección de la Universidad mi affermai, il mio rendimento crebbe e il DT, Javier Chacón, mi diede tanta fiducia come calciatrice». Una fiducia che, dai racconti di Javier, ha influito in modo consapevole su di lei. «Javiera è molto intelligente per giocare a calcio, ha un ottimo controllo di palla e la sua posizione in campo è fondamentale. Ha un ottimo piede e buone giocate». Tutto questo grazie al fatto che, per il campionato nazionale universitario del 2015, ebbero una conversazione che ritiene sia stato un momento chiave. Stando ad Antofagasta, alla vigilia di una partita che «si annunciava molto ostica», parlò con Javiera e un’altra jugadora, entrambe al primo anno nella Universidad de Chile. Il motivo? Che le calciatrici sapessero che non aveva importanza se le vedevano come più piccole, per ottenere un buon risultato era importante che avessero fiducia in loro stesse e che lui, in qualità di loro DT, facesse altrettanto. Quel torneo fu l’ultimo che l’Universidad de Chile conquistò. 

«Non siamo femministe in quanto donne »

Il giorno che nacque la ANJUFF pioveva su Santiago. Tutte le calciatrici che si recavano a firmare per dare forma legale all’associazione si riunirono a casa di Javiera nella città di Peñalolén. «Arrivò il il notaio e le calciatrici. C’erano Karen Araya, Tiane, Camila Sáez, e tutte le esponenti della selección a casa mia», racconta tra un sorriso e l’altro, e confessa che non aveva mai pensato che la ANJUFF sarebbe cresciuta tanto, «io credo che Iona (fu lei a dar vita al progetto) lo aveva sognato, ma non ci avremmo scommesso». 

Erano anni orrendi per il calcio femminile nazionale: le sezioni femminile dell’Audax Italiano e della Unión Española avevano chiuso, e il Cile era scomparso dal ranking FIFA per inattività. Durante un viaggio in spalla nel Sud del Paese, Iona Rothfeld raccontò che aveva un progetto, «che voleva presentarlo al SIFUP (Sindicato de Futbolistas Profesionales de Chile) e che credeva nell’importanza della organizzazione e della rappresentanza delle calciatrici». Così Javiera si unì al progetto con altre calciatrici come Fernanda Pinilla e Romina Parraguirre. Oggi, Javiera è vicepresidente e responsabile del settore “Género y Desarrollo/Genere e Sviluppo” della Asociación.

L’ANJUFF è cresciuto ininterrottamente. «La Asociación rappresenta una serie di opportunità e di cose da gestire di cui non riesci ad avere la dimensione e che continui solo a mettere in pratica». Chissà se uno dei progetti più importanti che Javiera ha capitanato nella organizzazione sia stato il Protocollo contro il bullismo, l’abuso sessuale, il maltrattamento e le altre forme di discriminazione, un documento che ha l’obiettivo di consegnare ai club sportivi, alle dirigenze, agli staff tecnici e alle calciatrici, le basi per mettere in pratica tanto come prevenzione quanto come piani di azione nei casi di abusi, atti di bullismo, maltrattamenti e discriminazioni. «In questi ultimi tempi iniziavo a capire cosa fosse il femminismo e credo che l’idea sia nata dalla conoscenza, dal voler fare qualcosa e dalla preoccupazione. Ho visto il progetto del Ministero dello Sport e ho detto che non avrebbe funzionata perché il fútbol femenino si gestisce in maniera diversa. Non solo non avrebbe funzionato a livello amministrativo, ma neanche a livello collettivo. Bisognava fare qualcosa in più». Così, si unì a un’altra calciatrice, Vale Bravo, che lavora nel campo del sociale. «Nel SIFUP, ci diedero un computer e ci siamo riunite per capire cosa accadeva fuori dai nostri confini e cosa voleva dire farlo in una prospettiva di genere», dice Moreno. Era importante essere informate, aggiunge, perché «non siamo femministe in quanto donne».

A mo’ di ulteriore aneddoto e senza l’iniziale intenzione di andare troppo a fondo, compare la storia di come ebbe l’opportunità di presentare il progetto di protocollo al responsabile dell’Ufficio Sviluppo della Fifa nel 2019. «È di grande rilevanza ciò che abbiamo fatto, a pensarci adesso. Nessuno più lo avrebbe mai fatto. Noi avevamo più o meno il primo prototipo del protocollo e abbiamo fatto una presentazione»: hanno raccontato la situazione del calcio femminile nel Cile di allora, come volevano applicare il protocollo e come andava ripensato il calcio. Perché questo bisognava fare: riformulare il calcio, la forma in cui erano organizzate le calciatrici, i club, la federazione e il ruolo dell’Instituto Nacional del Fútbol, Deporte y Actividad Física (INAF). Risposero bene il rappresentante della FIFA e della ANFP, ovvero coloro che avevano fatto in modo che quella riunione avvenisse. 

Quest’anno, Javiera è stata insignita dalla FIFPro (Federación Internacional de Futbolistas Profesionales) con il premio Activismo del jugador(a). Il giurato dell’organizzazione, nella sua dichiarazione ufficiale, ha motivato il premio dicendo che il lavoro della Moreno ha fatto crescere «la sensibilizzazione sui comportamenti degradanti nei confronti delle atlete in Cile e in particolare nei confronti delle calciatrici. Questo è un caso eccezionale che avrà un grande impatto sulle società di tutta l’America Latina. Ha combattuto per le persone vulnerabili ed emarginate cercando di unire e di sradicare vecchi comportamenti».

Javiera ammette che inizialmente non le diedero attenzione nella promozione del premio, tuttavia fu “la Garci” (Camila García) che insistette. «Ancora non gli do il giusto peso. Certo, segna un precedente importante, non solo in ciò che stiamo facendo, quanto nel posizionamento della ANJUFF, di quanto fatto. Credo che sia dare visibilità a qualcosa di molto importante e che si sta replicando da più parti», dice. 

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Dico a Javiera che con l’intervista abbiamo terminato, la ringrazio del suo tempo e della buona disponibilità e che non ho altre domande. In realtà mi sono dovuto trattenere e le ho detto chiaro e tondo che era una bugia, e che in realtà avevo altro da dirle. «Dopo aver parlato con te, vedo che tutto il tuo racconto ha origine nel collettivo, nella organizzazione, è così?». «Sì», mi dice, senza lasciare un attimo di silenzio. «Hai chiuso bene. Per me il gruppo è tutto».

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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