I campionati europei, come i Mondiali, hanno accompagnato le vite di migliaia di tifosi, con i loro gol, le loro gioie e le loro delusioni. Qui alcuni membri della redazione di Café Rimet lasciano un loro ricordo di un momento della storia della competizione che hanno vissuto e che gli è rimasto nella memoria.
Albania-Romania 2016 (Gezim Qadraku)
Il ricordo più nitido di un Europeo è sicuramente quello relativo al debutto dell’Albania. Francia 2016 rappresenta la prima volta in assoluto per noi albanesi e un traguardo del genere, non poteva che essere raggiunto grazie a un tecnico italiano, Gianni De Biasi.
E così, quelli che sono stati i miei due mondi, l’etnia da una parte e il paese dove sono cresciuto dall’altra, si fondono e danno vita a un miracolo sportivo. Dopo aver perso immeritatamente le prime due partite contro Svizzera e Francia, arriva la possibilità di mettere una pezza a quell’avventura.
Albania e Romania si sfidano consapevoli di essere eliminate, ma ne viene fuori una partita interessante. Se durante le prime due gare la tensione in casa si tagliava a fette, in questa, semplicemente sembra tutto ingestibile. Urla, applausi, incitamenti a squarciagola per tutti i 90 minuti. L’apice è rappresentato dall’esplosione di gioia al gol di Sadiku. Un colpo di testa a trafiggere Tătărușanu, uscito in maniera piuttosto maldestra. Un’eliminazione dolce, con una vittoria sudata e meritata, per lasciare un meraviglioso ricordo. Mi ricorderò per sempre del gol di Sadiku e di come la Francia si colorò di rosso e nero per un paio di giorni, con albanesi che arrivarono da tutto il mondo per sostenere i ragazzi di De Biasi.
EURO 2000: inutile articolare qualsiasi commento (Andrea Passannante)
Gli Europei del 2000 coincidono con il primo torneo internazionale del quale io abbia memoria. Lo spartiacque tra la gioia immensa dei rigori di Amsterdam, contro i padroni di casa, e l’amarezza della finale di Rotterdam, con quel golden goal di Trezeguet che ancora grida vendetta. Forse proprio questa sottile distanza tra la vittoria e la sconfitta mi ha fatto appassionare al calcio. Della semifinale ricordo in particolare l’equilibrio di Bruno Pizzul, che scandisce così la camminata di Gigi Di Biagio verso la porta di van der Saar prima dei rigori decisivi: «Sono momenti nei quali credo sia perfettamente inutile articolare qualsiasi commento»..
Ma gli Europei del 2000 rimarranno nella mia mente anche come una competizione inedita. Filippo Inzaghi segna su calcio di rigore (!) contro la Turchia il secondo gol degli Azzurri nella competizione. Da quel momento, e fino alla fine della sua carriera, Pippo segnerà solamente altre quattro reti dal dischetto. Sbagliando altrettanti rigori.
Chi è il portiere turco in quella partita? L’estroso Rüştü Reçber, che in più occasioni si è poi presentato con la tintura nera sotto agli occhi per evitare il riverbero della luce dei riflettori durante la partita. Il suo primo piano è un’immagine inedita che è scolpita ancora oggi nella mia mente: sono abbastanza sicuro del fatto che quell’immagine di Rüştü abbia influenzato la mia scelta di giocare in porta.
Coincidenza: Rüştü e Inzaghi sono coetanei e si sono ritirati nella stessa stagione, 2011/2012. Un segno del destino. Così come il fatto che quel rigore sia stato calciato l’11 giugno 2000. Ventuno anni prima della partita che inaugurerà Euro 2020. Curiosamente, ancora Italia-Turchia.
Il sogno di un bambino, 2004 (Enzo Navarra)
L’incredulità dopo la partita inaugurale vinta contro il Portogallo. Il fischio con la nocca del mignolo di Rehhagel: sono 17 anni che provo ad emularlo ma ancora niente da fare. Il magico lancio di Tsiartas per Charisteas che pareggia contro la Spagna. Nella stessa partita una delle mie prime cotte calcistiche: Joaquín, che fece venire la labirintite al povero Fyssas. Il mezzo suicidio contro la Russia e l’agonia per sapere il risultato di Spagna-Portogallo. Barthez come una statua di sale mentre osserva il colpo di testa di Charisteas conficcarsi sotto l’incrocio. Kapsis, 182 cm, che ferma Koller, 202 cm, in maniera irreale. L’urlo di mio papà, italiano, pochi attimi prima del colpo di testa di Dellas che supera Čech: il corner battuto da Tsiartas era un pallone così appetitoso che non poteva non gonfiare la rete. L’uscita scellerata di Ricardo e il «Siamo al settimo cielo, fratelli» gridato dal telecronista mentre capitan Zagorakis solleva la Coppa. I miei vicini che ballano commossi. Dimenticavo, non vi ho raccontato qualche dettaglio personale: sono per metà greco, nel 2004 vivevo ad Atene, appena promosso in seconda elementare, ad agosto ci sarebbero stati i Giochi Olimpici praticamente sotto casa mia e l’anno dopo avremmo vinto gli Europei di basket (a settembre) e della canzone (italiani, vi ricorda qualcosa?). Per un periodo eravamo campioni d’Europa in ben tre fronti, roba da vantarsi per tutto il resto del secolo. Un modo elegante per dirvi che siamo capaci di farlo tuttora.
Durante il primo lockdown ho rivisto tutte quelle sei partite. E mi hanno fatto l’effetto di Giovanni appena ascolta Luci a San Siro. Pelle d’oca, lacrimuccia, «non ce la faccio, troppi ricordi».
Euro 2016, terza prova e schemi Stoke (Matteo Albanese)
La perfetta concomitanza del mio esame di maturità con la fase a eliminazione diretta dell’Europeo 2016 mi stupì oltre il dovuto. Mi piace pensare che il 27 giugno 2016 fosse tutto incasellato come in un Tetris. Spesi l’intera mattinata in un ripasso frenetico e piuttosto fine a sé stesso, scandito però dalla medesima sensazione di tranquillità con la quale il pomeriggio prima l’irlandese Robbie Brady, al 2′, su rigore, pensava di aver appena abbattuto la Francia padrone di casa (poi rimontò Griezmann, con una doppietta che non lenì affatto il sentimento agrodolce che provavo per lui dalla sciagurata traversa colpita in finale di Champions a Milano). Ma il 26 giugno, oltre alla vigilia della temibile terza prova, fu per me il crollo della Slovacchia a Lilla, contro una Germania insensibile nei confronti di una Nazionale simpatia e di un mio storico feticcio, l’ex pescarese Vladimír Weiss.
Lunedì 27 giugno è stato il mio piccolo D-Day – 5 materie x 2 quesiti, anziché rispettivamente 4×3, con un margine leggermente minore di aleatorietà, forse. Ripasso di mattina, test nel primo pomeriggio e rientro a casa alle 18 spaccate, in tempo per Italia-Spagna (incursione di Chiellini e ah, quella splendida volée di Graziano Pellè). Il digestivo fu altrettanto zuccherino. Nella saga del contrappasso, l’Islanda sbatté fuori gli inglesi a Nizza: rigore di Rooney, pari di Sigurðsson su rimessa laterale battuta a schema Stoke (sì, schema Stoke dico, proprio contro gli inglesi!), destro di un Kolbeinn Sigþórsson mai più così egemonico e Geyser Sound all’Allianz Riviera. Con mia (pacata) soddisfazione per il superamento dell’ultimo ostacolo scritto.
Gli Europei in un mondo che cambiava (Andrea Meccia)
La mia memoria dei campionati europei coincide con quelli di un’Europa e un’Italia in trasformazione. Vanno dalla acrobatica doppietta di Vialli alla Svezia in un delicatissimo match per Euro ’88 giocato e vinto in un soleggiato sabato pomeriggio napoletano (2-1), al palo colpito da Rizzitelli in terra russa nell’ottobre del ‘91. Un gelido zero a zero per l’ultima nazionale di Vicini contro l’ancora Unione Sovietica nello Stadio Lenin. Un pareggio che sancì la mancata qualificazione ad Euro ’92, il primo campionato europeo da disputarsi in un nuovo quadro geopolitico. In mezzo i chiari ricordi delle notti magiche di Italia ’90, ideale e reale prosecuzione dell’allegra banda di Vicini nata nell’Under 21 di qualche anno prima e che, nelle vesti di nazionale maggiore, ci aveva divertito negli europei di Germania ‘88. La polemica esultanza di Mancini dopo il suo – primo in assoluto – gol con la maglia azzurra proprio contro i tedeschi padroni di casa (1-1) e lo straordinario gol in diagonale di Vialli contro lo Spagna (1-0) sono le immagini a cui siamo più legati di quell’avventura nella Germania Ovest, prima di essere eliminati in semifinale dall’Unione Sovietica di Lobanovski. Ricordo gli amici milanisti freschi campioni d’Italia gioire per la vittoria finale dell’Olanda dei rossoneri Gullit e Van Basten, impreziosita dall’incantevole gesto del “cigno” più armonioso della storia del calcio. Quattro anni dopo, le notizie che giungevano dai Balcani, la mancata partecipazione della Jugoslavia a Svezia ‘92 e il ripescaggio della Danimarca poi campione iniziarono a farmi capire come il calcio non fosse soltanto un gioco. A ripensarci, quel 1992, l’anno di Tangentopoli e delle stragi di mafia, fu un anno che mi cambiò.