di Rico Rizzitelli – So Foot, 14/12/2020
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Traduzione di Alessandro Mastroluca
Gérard Houllier aveva rischiato di morire per una dissezione dell’aorta nell’ottobre 2001 a causa della sua insopprimibile passione per il pallone. Solo l’immediato intervento di Phil Thompson (e del medico dei Reds) gli aveva salvato la vita all’intervallo di un Liverpool-Leeds. Da quel momento, ha dovuto convivere con una salute vacillante. L’antico maestro del Pas-de-Calais lascia alla fine un ricordo ambivalente, quello di un visionario brillante maltrattato da un ego bisognoso di riconoscenza
Al momento di saldare i conti, dei necrologi scritti in anticipo, al momento di riassumere delle vite in qualche cartella (l’unità di misura dei passacarte), resta qualcosa di ingiusto, di necessariamente riduttivo, di vano. Taluni musicisti brillanti sono spesso ridotti a una compilation facile, anche se hanno accumulato nella loro carriera album faro, naturalmente di più difficile accesso. Per molti, la vita di Gérard Houllier si potrebbe riassumere nella cataclismica eliminazione della Francia contro Israele (2-3), poi la Bulgaria (1-2) per il Mondiale americano, e alla sua testardaggine, per lo meno scandalosa, nel far portare la colpa a David Ginola. Ma vorrebbe dire dimenticare la traiettoria stupefacente di un maestro del Pas-de-Calais, diventato professore di inglese, che ha scalato a quattro a quattro i gradini del calcio francese fino a diventare ct dei Bleus prima di guidare una delle squadre d’Europa, il Liverpool, e senza essere mai stato calciatore professionista. È stato scritto che il 2020, Covid o no, ha rappresentato un’ecatombe per il calcio internazionale: Robert Herbin, Michel Hidalgo, Nobby Stiles, Jacky Charlton, Robby Rensenbrink, Ray Clemence, Bruno Martini, Papa Bouba Diop, Hans Tilkowski, Alejandro Sabella, Diego Maradona, Paolo Rossi e altri ancora.
Settembre 1969: colpo di fulmine a Anfield
Può darsi che la vocazione del futuro allenatore del Lione e del PSG sia nata una sera di settembre 1969 ad Anfield, dove i Reds hanno ridotto in poltiglia gli irlandesi del Dundalk (10-0). L’Erasmus non esisteva ancora ma la Kop, la curva dove 28mila tifosi del Liverpool saltavano tutti insieme, sì- Houllier si trovava sulle rive del Mersey nel quadro del suo CAPES d’inglese, il corso annuale per l’Esame di Stato, che frequentava a Lille. Impiegherà qualche tempo a completare gli studi per la malattia del padre, ma diventerà maestro, poi direttore della scuola normale di Arras. Il soggiorno di un anno in Inghilterra gli inoculerà il virus del calcio d’Albione. Nel 1973, diventa allenatore-giocatore del Touquet che naviga nella Promotion d’honneur. Il suo lavoro laggiù non passa inosservato. L’US Nœux-les-Mines, bastione del calcio del nord della Francia di allora, lo accoglie nel 1978. Alla prima stagione, guida in club in seconda divisione. Meglio, nel 1981 il club del Pas-de-Calais gioca gli spareggi promozione per entrare nell’elite francese, battuta solo dal Tolosa di Pierre Cahuzac.
L’anno successivo, eliminano il Nantes in Coppa di Francia prima di arrendersi al PSG di Luis Fernandez e Safet Sušić, futuro vincitore della coppa. Trasformarlo in un mestiere è diventata un’ossessione per l’ex professore di inglese. Senza sorprese, all’inizio della stagione 1982-83 firma per l’RC Lens, il grande club del dipartimento. Resterà tre anni, conducendo i Sang et Or in Coppa Uefa.
Come tutti i Rastignac delle province un po’ arretrate, Houllier sogna un destino extra-large. È già un maniaco del lavoro, alla maniera di Arsène Wenger, che ritroverà più tardi in Inghilterra, e uomo di relazioni senza pari. Nel 1985 firma per il PSG e succede a Christian Coste e a Georges Peyroche, l’uomo delle due coppe di Francia (1982, 1983). «Ho vissuto una delle mie più belle stagioni con lui il primo anno. Mi ha molto aiutato e sempre sostenuto. Era un grande professionista e un uomo profondamente umano», ricorda oggi Luis Fernandez.
Nella capitale, l’ex maestro inizierà a fare i miracoli. Una prima stagione quasi perfetta: il PSG è campione di Francia con una coppia di centrocampisti difensivi stratosferici (Fernandez-Lemoult) che si moltiplicano all’infinito, e semifinalista di Coppa, sconfitto di misura dal Bordeaux. Il seguito non sarà all’altezza. Battuto dai cecoslovacchi del Vítkovice al primo turno della Coppa dei Campioni, finisce settimo la stagione in campionato e 15mo l’anno seguente.
Houllier viene esonerato in autunno. Torna sui suoi passi, ha delle risorse. Qualche mese più tardi, diventa assistente di Henri Michel, poi di Michel Platini, nominato ct della nazionale: a lui il campo, all’antico condottiero dei Bleus la strategia. Questa nazionale di Francia della realpolitik, con Papin e Cantona come figure di prua, si qualificherà per l’Europeo svedese del 1992 (8 partite, 8 vittorie) senza far sognare nessuno, prima di crollare pesantemente in Scandinavia nella fase finale. Quando Platini dà le dimissioni nell’estate del 1992, la Federazione si volta « naturalmente» verso il suo assistente, è a lui che serve essere un uomo di influenza. Conosciamo il seguito.
Il giorno in cui Houllier ha lanciato Steven Gerrard
Dopo aver debuttato con una sconfitta in casa contro il Brasile di Raí e un’altra in Bulgaria nel primo match delle qualificazioni per la Coppa del Mondo 1994, la Francia raddrizza la barra prima di perdere brutalmente la rotta nel cammino delle qualificazioni. La Svezia e la Bulgaria, le due nazionali qualificate nel gruppo, raggiungeranno le semifinali negli USA. Peggio, tutta l’ossatura della Francia 1998 è già lì (Blanc, Desailly, Deschamps, Petit, Lizarazu, Djorkaeff), fiancheggiata dal trio regale Papin-Cantona-Ginola. Molti non si sarebbero ripresi. Houllier sì. Allena l’under 18, l’under 20 con cui fallisce al Mondiale in Malesia 1997 dopo un titolo europeo, dopo essere diventato direttore tecnico del calcio nazionale. Nicolas Anelka conserverà qualche perplessità e non sarà l’ultimo. In fondo, il nativo di Thérouanne rimpiangerà per tutta la vita l’occasione mancata con la Nazionale soprattutto quando Aimé Jacquet, in un certo senso l’assistente dell’assistente, guiderà i Bleus al titolo mondiale nel 1998. Lascia allora il circuito federale per realizzare l’altro suo grande sogno, il Liverpool. La formazione di scuola francese gli apre le porte della formazione allora più titolata d’Inghilterra.
Mersey beaucoup
Sulle sponde del Mersey, Gérard Houllier deve inizialmente condividere il potere con Roy Evans. Il binomio non funziona, e quest’ultimo dà le dimissioni nel novembre 1998. Il futuro allenatore del Lione intraprende un piano quinquennale destinato a risvegliare il gigante che dorme. Vende e compra tanto, il suo modo per trovare quel che cerca. Al primo anno, il Manchester United completa una tripletta storica (Champions, Premier League, FA Cup) mentre i Reds finiscono settimi in campionato.
Ogni anno, gli Scousers migliorano (quarti nel 2000, terzi l’anno dopo, secondi nel 2002…). Il Liverpool non sarà mai campione d’Inghilterra, non vincerà mai la Champions League ma il 2001 resterà negli annali: vince la Coppa Uefa, l’FA Cup, la Coppa di Lega, la Supercoppa europea e la Charity Shield, senza contare il Pallone d’Oro a fine stagione a Michael Owen. Houllier rende fieri i tifosi del Liverpool.
«Un vero gentleman del gioco, che ha sempre messo il club sopra tutto» , assicura oggi Ian Rush. Nell’ottobre del 2001, è vittima di una dissezione dell’aorta e deve la sua vita ai soccorsi arrivati rapidamente all’intervallo di un Liverpool-Leeds. Cinque mesi più tardi, torna ad Anfield per un match europeo contro la Roma, dove viene acclamato dai tifosi del Liverpool. Vincerà un’ultima Coppa di Lega l’anno successivo, ma il tempo è passato. Le critiche si fanno sempre più forti, soprattutto per quanto riguarda la sua gestione dei trasferimenti e il gioco della squadra, giudicato « troppo unidimensionale » . Nel maggio 2004, il board dei Reds gli chiede di lasciare il club. È rimpiazzato da Rafael Benítez, che vince la Champions League alla prima stagione dopo l’inverosimile finale di Istanbul contro il Milan dopo essere stato sotto 0-3. A fine partita, Houllier festeggia in spogliatoio con i giocatori che ha lanciato (Carragher, Gerrard) o che ha acquistato (Hyypiä, Kewell, Hamann, Šmicer…) con rara ineleganza. In un certo senso, aveva contribuito a consacrare i Reds, ma questo modo di « rubare lo show » all’allenatore spagnolo sfiorava l’osceno.
Dotato nel farsi amici e collezionare nemici
Gérard Houllier prenderà un anno sabbatico, ma senza stare mai lontano dai campi (come potrebbe essere altrimenti?) prima di rientrare. Nell’estate del 2005 si siede «al volante della Formula 1 di Lione», secondo le parole di Aulas. Al primo anno, il club rodaniano avrebbe potuto vincere la Champions League, ma viene eliminato dal Milan per un gol di rapina di Inzaghi e un errore (rarissimo) di Abidal.
Nella seconda stagione, l’OL domina la prima parte di campionato (51 punti su 57) poi declina lentamente, si fa eliminare al Gerland dalla Roma, crudele e impavida come solo le squadre italiane possono essere, negli ottavi di Champions. Dopo un ultimo passaggio all’Aston Villa, interrotto ancora per problemi di salute, l’ex tecnico del Nœux-les-Mines entra nei quadri del calcio internazionale: alla UEFA, alla FFF, la federazione francese (faceva parte del Comex al momento del fiasco di Knysna, ai Mondiali del Sudafrica, dimostrando poca lealtà verso Domenech dopo essersi battuto perché restasse in carica dopo Euro 2008) o ancora nei meandri della galassia Red Bull (da New York a Salisburgo) e per finire all’OL, dove consigliava il presidente.
Houllier era dotato nel farsi degli amici e nel collezionare nemici. In un libro del 2011, Secrets de coach, aveva di nuovo accusato David Ginola, come se gli servisse agli occhi della posterità un responsabile per la ferita mai cicatrizzata di Francia-Bulgaria del 1993. Davvero poco di classe. L’uomo poteva essere affascinante, poi brusco l’istante dopo. Amava il potere e le persone che ne disponevano. Alla fine, il suo percorso straordinario, una specie di eccellenza della meritocrazia repubblicana e sportiva, avrebbe dovuto valergli una riconoscenza unanime soprattutto perché resta uno dei quattro allenatori francesi ad aver vinto una Coppa dei Campioni dopo Helenio Herrera (franco-argentino), Luis Fernandez e Zinédine Zidane. Ma la realtà è un po’ più complessa.