di Andrea Bosio, in collaborazione con Gezim Qadraku e Roberto Brambilla – Articolo originale
In collaborazione con Ing. Riontino, archivista privato di materiale calcistico cartaceo da più di 40 anni, abbiamo aperto per la prima volta uno dei più grandi archivi calcistici del mondo e – assieme a Andrea Bosio (corresponsabile dell’Archivio) e col contributo di SoccerData e Marco D’avanzo – abbiamo realizzato questo articolo con un obiettivo molto speciale: ricostruire storie di calcio dimenticate attraverso l’utilizzo sterminato di fonti originali provenienti da tutto il mondo.
FONTI ORIGINALI UTILIZZATE:
– [ITA] Gazzetta dello Sport del 29/12/1980 , 02/01/1981 , 03/01/1981 , 04/01/1981 , 05/01/1981 , 05/01/1981 , 10/01/1981 , 11/01/1981
– [ARG] GolesMatch n°1671 del 1981
– [BRA] Placar n°556 , n°557 , n°558 del 1981
– [GER] Kicker del 09/01/1981
Una sfida tra Europa e Sudamerica, sulle rive del Rio de la Plata, il fiume dove è nata la passione per il Gioco. È il dicembre del 1980, l’Uruguay, a cinquant’anni dal primo Mondiale vinto, decide di ospitare un torneo di calcio fra le nazionali che fino fino a quel momento hanno vinto la coppa del mondo. Dietro l’organizzazione di questo evento non c’è soltanto la volontà di ospitare uno spettacolo sportivo, ma piuttosto l’obiettivo di ripulire l’immagine di un paese. L’Uruguay di quegli anni è controllato dalla giunta militare che si è presa il potere nel 1973, grazie a un colpo di Stato. Gli obiettivi del Mundialito sono di mettere la parola fine all’isolamento politico di Montevideo e mostrare una fotografia migliore del Paese.
Al torneo partecipano la nazionale di casa, Brasile, Argentina, Italia, Germania Ovest e Olanda. No, l’ultima nazionale non è un errore. Gli Oranje prendono parte all’evento, nonostante non abbiano vinto alcuna Coppa Rimet. Lo fanno per sostituire l’Inghilterra, che si rifiuta di partecipare a un evento sportivo organizzato dalla giunta militare. Altresì l’atteggiamento della stampa inglese verso la manifestazione risulta essere totalmente defilato. In realtà gli organi di stampa britannici, sono ancora imprigionati dentro una sorta di presunzione di ruolo primario che li porta a non valorizzare manifestazioni intercontinentali (ad eccezione della coppa del mondo) come ad esempio succederà negli anni successivi con la scarsa attenzione rivolta alla coppa intercontinentale per club.
Un torneo, giocato nella pausa natalizia, che diventa per un incubo per le Nazionali europee. A partire dall’Italia. L’esperienza degli azzurri parte nel peggiore dei modi possibili. Il giorno prima che la nazionale prenda il volo per Montevideo, il general Manager della squadra, Gigi Peronace, muore tra le braccia di Enzo Bearzot. La fama del manager è di caratura mondiale. Il suo raggio di azione comprendeva Italia e Inghilterra, dove viene descritto come “il primo vero agente in Inghilterra”. Dopo anni trascorsi alla Juventus e poi al Torino, viene assunto dalla FIGC per occupare la posizione di Manager. Nel suo curriculum l’organizzazione del torneo “Anglo-italiano”, la trasferta mondiale degli azzurri nel Mondiale del 1978 e l’anno successivo organizza, per la Federazione argentina, la partita tra l’Argentina e una squadra composta da una selezione di giocatori del resto del mondo. Il colpo della sua perdita è durissimo per tutti. Lo staff e i giocatori sono sconvolti, tanto che alcuni vorrebbero restare a Roma. Ciccio Graziani su tutti. Alla fine la Nazionale vola a Montevideo e prende parte al torneo.
Se l’esperienza inizia male, il proseguimento è sulla stessa linea. Gli azzurri si trovano nel girone con i padroni di casa e l’Olanda. La partita inaugurale è tra l’Uruguay e gli Oranje. Non è un Olanda che sembra poter mettere in difficoltà qualcuno. Secondo quanto riportato dalla stampa, ci sono troppi giovani senza esperienza e i veterani hanno perso il lustro di una volta. Il commissario Tecnico Zwartkruis, già assistente di Happel sulla panchina olandese ai mondiali del 1978, dopo l’esperienza argentina inizia un lavoro di rinnovamento della rosa della nazionale, lavoro che si dimostra ostico, sia per la carenza di veri talenti e sia per una certa onda nostalgica, fortemente impressa anche dalla stampa olandese, che vorrebbe presenti in nazionale personalità forti come ad esempio Krol e Crujiff, di ritorno dall’esperienza oltre oceano, che se da un lato possono portare esperienza, dall’altro rappresentano un freno alla politica di rinnovamento totale necessaria per riportare gli olandesi ai massimi livelli. Si gioca martedì 30 dicembre allo stadio Centenario. Finisce due a zero per la Celeste, con reti di Ramos e Victorino, entrambe nel primo tempo. È il primo affondo dell’Uruguay, che ha l’obiettivo di vincere la competizione, per ripagare il proprio popolo di un’attesa estenuante dall’ultima vittoria importante, ovvero il Mondiale del 1950. L’ultimo canto della Celeste, dopo la vittoria della coppa del mondo nel 1930 e i successi alle olimpiadi del 1924 e 1928.
I rappresentanti della “República Oriental” si ripetono contro l’Italia, nonostante l’ottimismo di Enzo Bearzot. «Con questo Uruguay ce la possiamo giocare, l’Olanda ha perso perché in crisi di gioco e di uomini» dice il Vecio. In un “Centenario” tutto esaurito, con 90mila spettatori festanti, la Celeste sconfigge gli azzurri. L’Italia dopo 90′ è già fuori, visto che il regolamento prevede il passaggio del turno solo della prima classificata. L’Uruguay si impone per 2 a 0. È una partita combattuta e gli azzurri resistono fino al 67’, quando Morales sblocca il risultato su calcio di rigore. Due minuti dopo un espulso per parte, Cabrini per gli azzurri e Moreira per i padroni di casa. All’81’ Victorino mette la parola fine alla gara. Da segnalare l’espulsione di Tardelli a due minuti dal 90’, con l’Italia che termina la partita in 9. Alla fine della gara ci sono recriminazioni da parte degli azzurri. Bearzot si lamenta per il gioco duro e falloso degli avversari e il calcio di rigore, che a suo avviso non c’era. Dal ritiro italiano continuano le polemiche sull’arbitraggio, tanto da portare la stampa nostrana a scrivere contro gli azzurri e il presidente dell’UEFA Artemio Franchi a rilasciare le seguenti dichiarazioni: «Il vittimismo ci provoca una squallida immagine, stiamo ricadendo negli errori del passato che ci procurò solo antipatie e inimicizie. Anche Bearzot sia più cauto nelle affermazioni sugli arbitri».
Se male va agli italiani peggio va agli olandesi, in quel momento ancora vicecampione del mondo, dopo il secondo posto ai Mondiali ’78. Gli Oranje sono all’alba di una nuova generazione, che successivamente mancherà la qualificazione alla Coppa del Mondo per due volte. Vista l’inutilità ai fini della qualificazione Italia- Olanda viene utilizzate per fare esperimenti. Partono dall’inizio Pruzzo, Baresi, Vierchowod e Ancelotti. È proprio quest’ultimo a sbloccare la gara al 7’ (suo unico gol in nazionale). L’Italia però si fa raggiungere pochi minuti dopo da Peters, uno dei pochi talenti espresso dal paese dei tulipani, che nella stagione 80/81 sta spopolando con il favoloso gioco dell’AZ 67 tra I più offensive e verticali dell’intero decennio.. Finisce 1-1 ed entrambe le nazionali possono tornare a casa. La sconfitta costa il posto al commisario Tecnico olandese. Non di certo un torneo da ricordare per l’Italia.
Tra le europee la più quotata rimane la Germania Ovest. I tedeschi, che sono inseriti nel gruppo di Brasile e Argentina, sono I freschi campioni d’Europa in carica. Non perdono da 23 partite, anche se in Sudamerica mancano alcuni pezzi, come Uli Stielike e Bernd Schuster, entrambi “trattenuti” dai loro club, il Real Madrid e il Barcellona. In Germania Ovest, dove il Mundialito non sarà trasmesso in TV, l’attesa e La grande domanda tattica che la stampa specializzata tedesca si fa è: chi giocherà libero? Hannes, Niedermeyer o il capitano Bernard Dietz. Il ct Derwall, arrivato dopo il disastroso Mondiale argentino, punta sull’esperienza. Non basta però. Le prestazioni fanno il paio con quelle di Olanda e Italia. Due partite, due sconfitte e zero punti. Con l’Argentina, che vede dopo l’esclusione del Mondiale ’78 vede Diego Armando Maradona per la prima volta sul palcoscenico planetario dei “grandi” perdono 2-1, subendo entrambe le reti nel finale Sono “teufliche sechs Minuten”, sei minuti infernali, secondo Kicker. Peggio andrà con il Brasile. Come con l’Albiceleste I tedeschi dell’Ovest vanno in vantaggio prima di essere raggiunti, superati e travolti. Al 90′ è 4-1. È una sconfitta bruciante, anche se il punteggio è fin troppo severo con I campioni d’Europa. In Germania, al di là della delusione non si fanno processi. Secondo molti commentatori I risultati del Mundialito non intaccano le certezze della Nationalmannschaft e il presidente del Kaiserslautern “Atze” Friedrich, al seguito della spedizione tedesca, addirittura dice di essere contento che la Germania abbia perso, sottolineando pure come la Nationalmannschaft, a differenza di Brasile e Argentina, non si sia preparata, come per esempio l’Uruguay, con lunghi ritiri.
La sconfitta dei tedeschi proietta il Brasile al primo posto e in finale. Una posizione, arrivata anche in virtù di un pareggio all’esordio contro gli arcirivali dell’Argentina. Il ct dell’Albiceleste Luis Cesar Menotti alla vigilia li teme. Per lui, come racconta in un’ampia intervista concessa ai media argentini, I verdeoro hanno perso la classe immensa dell’assente Zico, ma ci hanno guadagnato in lotta. Per “Il Flaco” il Brasile è una squadra di ottimi giocatori ed è ridicolo, secondo il tecnico, come riportano I media brasiliani che dal Mundialito dipenda il futuro del ct Santana. Albiceleste contro Verdeoro è già decisiva per entrambe. Gli argentini non battono i rivali da undici anni e nonostante siano favoriti, si respira un certo nervosismo dalla loro parte. Mentre i brasiliani, complice un gruppo formato da giovani, arrivano all’appuntamento in maniera più serena. Si gioca domenica 4 gennaio e ci sono trentamila argentini allo stadio. La partita termina in pareggio, 1 a 1. Segna Maradona al 30’, al quale risponde Edevaldo all’inizio della ripresa. Al 90′ però più che il risultato rimane nella Storia la rissa tra le due squadre.
Finale
Se per i padroni di casa sono passati 30 anni dall’ultimo grande successo, per i brasiliani sono 30 anni dalla tragedia sportiva più grande per il paese. Le ferite del Maracanazo bruciano ancora e quale migliore chance di vendicarsi, se non la finale di un torneo a casa del nemico. Si gioca sabato 10 gennaio e al Centenario ci sono 75mila spettatori. Il primo tempo si conclude sullo zero a zero. Le squadre si studiano e hanno paura di provare a fare la prima mossa. La ripresa invece è tutt’altra musica. La Celeste si porta in vantaggio al 50’, con la rete di di Barros su assist di Paz. Dodici minuti più tardi è Socrates a siglare il pareggio, su calcio di rigore. A dieci minuti dalla fine, Victorino riesce a risolvere una mischia, segnando il gol che permette ai padroni di casa di trionfare. L’Uruguay vince ma João Saldanha, ex ct della Nazionale brasiliana e fine penna della rivista Placar ( e non solo) esalta il Brasile del presente e in prospettiva. “Continuiamo a essere una delle due tre migliori squadre del mondo. Che I nostri avversari lo sappiano”.
Il Mundialito, al di là dei risvolti sportivi, finì nel dimenticatoio molto presto. Se da una parte l’Uruguay riuscì a raggiungere il massimo obiettivo, vincendo e provando a mostrare un’immagine migliore della propria realtà. Dall’altra parte l’evento fu prima di tutto un successo economico. Il pubblico, un totale di 400mila spettatori paganti in sette partite, portò sei miliardi e mezzo di incassi. I ricavi totali raggiunsero la cifra di dieci miliardi di dollari, con le televisioni grandi protagoniste del banchetto. Soprattutto in Italia, dove per la prima volta Berlusconi mostrò i muscoli e riuscì a comprare i diritti delle partite, sborsando 900mila dollari. Soldi che però non sarebbero stati sufficienti se la RAI non avesse concesso l’uso del satellite. L’ok da Viale Mazzini arrivò dopo notevoli pressioni della stampa sportiva e la paura del governo in carica di perdere consenso popolare. Così Canale 5 si aggiudicò tutte le partite in differita, mentre alla RAI restarono soltanto le dirette delle partite dell’Italia e della finale. Verrà ricordato come il primo grande passo di Berlusconi e la fine del monopolio di Stato. Per quanto riguarda quello che accadde in campo, saranno veramente in pochi a ricordarsi di quel Mundialito. Un altro esempio di come il calcio, molto spesso nella Storia, sia stato utilizzato per interessi che nulla hanno a che fare con ciò che accade nel rettangolo di gioco.