di Jean-Philippe Danglade, Capo dipartimento, Kedge Business School – The Conversation (20/12/ 2020)
Traduzione di Alessandro Mastroluca
Il 10 dicembre 2020, il calciatore francese Antoine Griezmann ha annunciato alla sua comunità di 31,8 milioni di fan su Instagram di aver messo fine al suo contratto (di quattro anni, nel mezzo di una trattativa per un’estensione di altri due anni) con il marchio di smartphone cinese Huawei, accusato di partecipare alla sorveglianza della comunità musulmana degli uiguri in Cina.
Nel suo post, firmato e autografato, il campione del mondo 2018 scrive:
«In seguito ai forti sospetti secondo cui l’impresa Huawei avrebbe contribuito alla sviluppo di un alert Uiguri grazie a una funzione di riconoscimento facciale, annuncio che chiuderò immediatamente il rapporto che mi lega a questa società. Ne approfitto per invitare Huawei a non accontentarsi di negare queste accuse, ma ad impegnarsi al più presto per condannare questa repressione di massa e usare la sua influenza per contribuire al rispetto dei diritti degli uomini e delle donne nella società».
Gli esempi di rapporti interrotti sono tanti, ma generalmente sono le aziende che rompono il contratto a causa dei comportamenti delle personalità, come abbiamo dimostrato nell’opera Marketing et Célébrités pubblicata per le Éditions Dunod nel 2014. Ad esempio, il golfista Tiger Woods ha perso diversi contratti dopo le rivelazioni sui suoi multipli tradimenti nel 2009. Nel 2012, il ciclista Lance Armstrong è stato a sua volta abbandonato da numerosi sponsor dopo essere stato accusato dall’agenzia americana anti-doping di aver assunto sostanze proibite.
Un’iniziativa molto rara tra le celebrità
I casi di celebrità che rinunciano a un contratto di sponsorizzazione per ragioni etiche rimangono invece molto più rari. In genere, i personaggi pubblici denunciano piuttosto imprese a cui non sono legati attraverso campagne che possono spingersi fino al boicottaggio.
Per esempio, nel settembre 2020, diverse stelle americane (tra cui Kim Kardashian, Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence) hanno deciso di non pubblicare niente su Instagram e Facebook per 24 ore facendosi portavoce di associazioni che accusano i social network di contribuire alla diffusione di contenuti falsi e messaggi d’odio.
Nel caso di «Grizou», simile a quello del cantante The Weeknd che aveva bruscamente interrotto la collaborazione con il marchio di abbigliamento H&M a inizio 2019, dopo la messa in commercio di una felpa con la scritta «La scimmia più cool della giungla» («Coolest monkey in the jungle») indossata da un ragazzino nero nella pubblicità, possiamo interrogarci sull’intenzione del gesto, tra impegno responsabile e strategia di comunicazione.
In effetti, le celebrità diventano a loro volta dei marchi che si sviluppano in base alla loro notorietà un «capitale di marca», e che dal punto di vista della pratica e del business, sviluppano delle imprese con il loro nome, come la stella del basket Michael Jordan.
Associandosi a un’altra entità commerciale attraverso la firma di un contratto di sponsorizzazione questi «marchi-celebrità» possono beneficiare degli attributi collegati all’altro brand (essere ambasciatore della Rolex apporta alla star un certo prestigio). Evidentemente, queste associazioni possono anche rivelarsi negative e dunque nuocere al marchio della celebrità, in imbarazzo quando si ritrova potenzialmente collegata ad accuse di razzismo, sessismo, spionaggio o altro riferite al loro sponsor.
È quanto accaduto all’attore George Clooney, testimonial della Nespresso, che aveva manifestato il suo scontento dopo la rivelazione, lo scorso febbraio, di alcune condizioni di lavoro in un documentario della tv britannica Channel 4: Nespresso era accusata di aver reclutato bambini per lavorare otto ore al giorno, sei giorni a settimana, in alcuni terreni in Guatemala.
Antoine Griezmann appare a volte come uno sportivo e come persona impegnata, con alto potenziale commerciale, e le due cose non sono in antitesi. In uno sport molto spesso criticato per i cattivi comportamenti dei giocatori, il calciatore del Barcellona si colloca in una linea di tendenza, non necessariamente nuova, di giocatori i cui messaggi sui social network ottengono un’eco e una risonanza potenti.
Dall’attaccante ivoriano Didier Drogba, ambasciatore di buona volontà del programma dell’ONU per lo sviluppo e presidente di una fondazione a suo nome che si batte per la salute, il rispetto delle donne, l’educazione e i bambini, al giovane Marcus Rashford, estremamente coinvolto nella lotta alla povertà e capace di influenzare perfino il governo britannico, passando per la star Cristiano Ronaldo che ha donato tre unità di cura ad ospedali portoghesi per aiutarli nella lotta alla pandemia da coronavirus, gli sportivi non esitano più a impegnarsi «offrendo» alle diverse cause una visibilità mediatica e/o donazioni finanziarie o materiali.
Una nuova crisi per Huawei
Nel caso di Griezmann, senza che sia una critica, sembra tutto molto commerciale, dalle esultanze per i gol (una delle quali riprendeva le movenze del videogioco Fortnite), ai frequenti cambiamenti di acconciatura (come faceva David Beckham a cui Griezmann si è visibilmente molto ispirato), passando per la comunicazione delle sue scelte di carriera. L’uscita del documentario in cui annunciava che sarebbe rimasto all’Atletico Madrid, durante la Coppa del Mondo 2018, faceva eco alla messa in scena televisiva della «Decisione» del cestista americano LeBron James quando lasciò i Cleveland Cavaliers nel 2010.
Separarsi da Huawei può dunque essere interpretato alternativamente come un impegno coraggioso e sincero per contribuire a dare visibilità a una causa poco nota al grande pubblico e come un’azione di comunicazione che può migliorare il suo brand.
Ma se è sicuro che il messaggio di Griezmann dia una risonanza importante presso il grande pubblico a una questione che senza questo messaggio Instagram sarebbe stata meno commentata, il marchio cinese è stato già oggetto di numerose polemiche internazionali legate ai sospetti di spionaggio per conto del governo cinese, soprattutto negli Stati Uniti. La vicenda è andata oltre la questione di immagine e ha finito per rappresentare un autentico scontro diplomatico.
Nel caso di Griezmann, l’azienda cinese si è difesa dichiarando:
«Noi non sviluppiamo algoritmi o applicazioni nell’ambito del riconoscimento facciale, ma soltanto delle tecnologie di utilizzo generale che si fondono sulle norme internazionali in materia di apprendimento automatico e intelligenza artificiale».
Qualunque sia la verità, basterà questa dichiarazione a dissipare i dubbi? In effetti, un rappresentante di Huawei aveva detto nel 2017, quando il calciatore francese era diventato ambasciatore del marchio: «Antoine Griezmann ha la capacità di far reagire la sua comunità, è naturale e diretto, e questo ci interessa». Un argomento che potrebbe anche ritorcersi contro la sua strategia di comunicazione.