“Volevamo far capire alla gente che un cambiamento era possibile” [Zenon de Souza Farias]
Può una squadra di calcio soverchiare una dittatura? Può un semplice club sovvertire le regole del sistema, creando un proprio modello di governo? Si, e tutto questo accadde in Brasile all’inizio degli anni ‘80 durante il regime dei Gorillas. Una squadra, il Corinthians, un sociologo come direttore sportivo e un dottore come capitano e leader. Tutto questo e molto più fu la Democracia Corinthiana.
Il 1° aprile 1964 le forze armate brasiliane insieme agli Stati Uniti nella tristemente nota “Operazione Condor” destituirono João Goulart, presidente in carica, dando inizio ad una dittatura militare che durò per 21 anni. Come primo atto il regime dei Gorillas varò una serie di decreti che limitavano la libertà del popolo brasiliano, il più famoso fu l’Ato Institucional Nº 5, un decreto che di fatto sospendeva molte garanzie costituzionali, dando pieni poteri al Presidente della Repubblica. Come tutte le dittature, ad eccezione di quella di Salazar, anche quella brasiliana vide nel calcio un ottimo strumento di propaganda e potere. Pelè era tenuto costantemente sotto controllo e famoso fu il caso di Dario ‘Dadà Maravilha’, bomber dell’Atletico Mineiro, idolo del Presidente Emilio Garrastadu Medici che pur di vederlo convocato nella Seleçao per i Mondiali del 1970 fece “pressioni” per sostituire João Saldanha, ct della Nazionale. In questo contesto in un Corinthians in profonda crisi economica fece il suo ingresso come direttore sportivo un sociologo che di calcio sapeva poco o niente, Adilson Monteiro Alves. Il nuovo DS non sapeva come funzionassero le cose, ma sapeva bene che il modello di gestione del club andava assolutamente cambiato. Una sfida non solo ai generali al governo, ma anche allo stesso sistema calcio, una riproduzione su scala più piccola del governo dittatoriale del Paese. I club infatti, erano nelle mani di personaggi potenti legati alle gerarchie militari e la gestione era di stampo autoritario. Un esempio su tutti era la pratica del concentração (“concentramento”): prima di ogni partita i giocatori venivano rinchiusi per giorni in un hotel in una sorta di rigidissimo “ritiro” coatto, durante il quale erano sottoposti ad indottrinamenti politici. Un mondo nuovo era possibile. Lo capirono tutti, giocatori in primis. E fra loro più di tutti, Sócrates. Figlio di un povero autodidatta dell’Amazzonia che dopo aver letto La Repubblica di Platone decise di chiamare suo figlio come il filosofo greco, Sócrates decise di intraprendere la carriera di calciatore pur avendo una laurea in medicina. Personaggio carismatico, divoratore di libri, accanito bevitore e fumatore diventò il cuore di questo progetto rivoluzionario.
“Ho sempre fumato pur sapendo che fa male, cosi’ come amo bere birra, oggi come allora. Ma il calcio e’ uno sport collettivo e non serve che tutti corrano. Ci sono quelli che corrono e quelli che pensano”.
Ascoltava John Lennon, si ispirava a Che Guevara ed odiava le regole, soprattutto quando venivano imposte. E nel Corinthias le regole erano cambiate. Ma, badate, il nuovo modello organizzativo della squadra non fu imposto da Alves né da Sócrates, non fu una scelta di un singolo, ma una decisione di tutti. Questa fu la vera grandezza del Corinthias. Per la prima volta nella storia dello sport tutte le decisioni che riguardavano il club, dagli schemi tattici al prezzo del biglietto, venivano prese tramite una votazione di tutti i componenti del club. Dal magazziniere al presidente ognuno aveva lo stesso diritto al voto. Un suffragio universale in un Paese oppresso dalla dittatura, una rivoluzione! La squadra si trasformò: da compagine di media-bassa classifica divenne regina del campionato paulista per due anni di fila, nel 1982 e nel 1983. L’allenatore dava la linea, ma poi i giocatori erano liberi di esprimerla secondo la proprio indole. Così grazie al talento del suo capitano, dei suoi difensori (Alfinete, Mauro, Gonzalez e Wladimir), dei suoi centrocampisti (Paulinho, Biro-Biro e Zenon ) e dei suoi attaccanti (Ataliba e Walter Junior Casagrande) il Corinthias mostrò un calcio fantasioso, danzato tanto da far innamorare milioni di tifosi e diventando la seconda squadra più tifata in Brasile dopo il Flamengo. Un tifo che non si limitava al calcio perché quella squadra che sfidò la dittatura divenne la squadra del popolo.
“Ganhar ou perder, mas sempre com democracia”
La casacca divenne un dazebao con messaggi di democrazia, pace e fratellanza. Come amavano ripetere i giocatori, il calcio è solo un gioco, si può vincere o perdere ma senza farne una tragedia. Esistono cose più importanti, come votare ad esempio. Il 15 marzo 1982 dopo varie manifestazioni e proteste i generali iniziarono a mostrare le prime difficoltà e concessero le prime elezioni municipali e statali. Sócrates e compagni si sentirono direttamente coinvolti, prima che calciatori come uomini liberi. Così per spronare le persone a votare personalizzarono la propria casacca con la scritta “Dia 15 vote” (“il giorno 15 vota”) e come sfida a quel mondo chiuso che stava opprimendo un intero popolo entrarono in campo danzando e cantando come per dire che con quel voto, con la democrazia, sarebbe stata tutta un’altra musica. Il regime cadde ufficialmente nel 1985 con le prime elezioni con candidati civili dopo quasi 20 anni e parte del merito va ad club di calcio che mostrò come la libertà non si riceve, ma si guadagna sapendo che ognuno di noi ha un ruolo in questo mondo.
Autore: Giuseppe Masciale
Articolo originale: La Democracia Corinthiana – Zeta Vision